Conto corrente cointestato: appropriazione indebita da tassare. La sentenza
Una sentenza interviene sulla tassazione di proventi illeciti nel caso in cui le somme si trovino depositate su un conto corrente cointestato
Una sentenza della Commissione tributaria della Toscana interviene sulla questione della tassazione dei proventi illeciti nel caso in cui le somme si trovino depositate su un conto cointestato.
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Conto corrente cointestato: il caso in esame
La sentenza della commissione tributaria di Firenze è scaturita da una controversia tra l’Agenzia delle Entrate e la Commissione tributaria di Prato che a sua volta aveva accolto il ricorso di un contribuente contro la stessa AdE. Nello specifico, il contribuente aveva protestato contro il recupero della tassazione su una cifra di oltre un milione di euro richiesto dall’AdE dopo che tale somma era stata prelevata dal conto corrente cointestato con la moglie. Per il Fisco l’importo suddetto poteva considerarsi come un’appropriazione indebita del marito anche in base alla precedente sentenza di separazione tra i due coniugi. Insomma, quella somma spettava alla moglie e doveva rimanere nella sua disponibilità.
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Cosa hanno deciso i giudici
I giudici hanno quindi decretato che il trasferimento della somma dal conto corrente cointestato con la moglie a un suo conto personale operato dal contribuente è da ritenersi come un’appropriazione indebita come stabilito dall’articolo 646 del Codice Penale. Dal punto di vista tributario hanno poi evidenziato, dando di fatto piena ragione all’Agenzia delle Entrate, come anche “le somme che siano state oggetto di appropriazione indebita debbano considerarsi, quali proventi illeciti, come redditi imponibili, quali redditi diversi, ai fini dell’imposta sulle persone fisiche”.
La decisione dei giudici fiorentini si inserisce in un ormai consolidato indirizzo giurisprudenziale che legittima la tassazione dei proventi illeciti di qualunque natura; basti dire che a tal proposito nel 2013 la Cassazione ha affermato il principio, sulla scorta dell’articolo 14, comma 4, della legge n.537/1993, per cui “i proventi derivanti da fatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo se non già sottoposti a sequestro o confisca penale” concorrono alla formazione di un reddito fiscalmente imponibile.
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