Stalking social network e atti persecutori, quando si manifestano
Lo stalking nell’era digitale: la norma che sanziona gli atti persecutori e l’ipotesi pratica dello stalking social network. La linea della Cassazione.
In questo articolo trattiamo del diffuso e attualissimo fenomeno dello stalking social network e del rapporto con gli atti persecutori. Vediamo quindi in quali circostanze concrete si può parlare di stalking con riferimento all’utilizzo dei siti web che mettono in comunicazione più persone.
Lo stalking nell’era digitale: l’art. 612 bis c.p.
Lo stalking, secondo il diritto penale, è disciplinato dall’art. 612 bis c.p., introdotto con l’art. 7 del D.L. n. 11 del 2009, per distinguerlo nettamente dal reato di molestie. In esso è denominato reato di “atti persecutori”, ed il relativo testo afferma che: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”.
La legge fa riferimento a “condotte reiterate” e, pertanto, è giustificato intendere che questo articolo possa essere applicato anche a tutti i casi di chi, con condotte in vario modo intimidatorie, dà luogo ad intimidazioni verbali o reca comunque molestia – seppur in ambito virtuale – attraverso la pubblicazione sui social network di una serie di messaggi lesivi, verso uno o più individui.
Ciò che la giurisprudenza ha avuto modo di rimarcare è che il dato normativo parla di reiterazione di un comportamento, indipendentemente dall’attuazione pratica di esso. Pertanto, essa potrà avvenire e rilevare penalmente anche con molestie poste con frasi su internet, e potrà parlarsi di stalking.
Insomma, è sempre opportuno fare attenzione a come ci si comporta nei social network, ricordandosi – anche – di non oltrepassare il confine del diritto di opinione o di critica, sconfinando nel vero e proprio reato di diffamazione, di cui abbiamo già trattato. In altre parole, condotte sul web particolarmente “disinvolte” potrebbero dar luogo a quest’ultimo reato, e se accompagnate anche da reiterazione, il giudice valuterà l’eventuale sussistenza dell’altro reato di stalking o atti persecutori.
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La linea della Corte di Cassazione
Negli ultimi anni, in diverse sentenze, la Corte di Cassazione si è occupata del rapporto tra stalking e utilizzo dei social network. In particolare, rileva la sentenza n. 21407 del 2016, la quale ha effettuato alcune significative precisazioni. La Suprema Corte, infatti, ha indicato che per la sussistenza del requisito della reiterazione della condotta, non è necessaria una vera e propria serialità degli atti (e quindi della pubblicazione dei messaggi sui social network).
Sono sufficienti anche soltanto due episodi al fine della configurazione degli atti persecutori. Essi, secondo la valutazione del magistrato chiamato di volta in volta a giudicare, debbono essere capaci di alterare le abitudini di vita della vittima dello stalking tramite social network, e/o di produrre in essa un perdurante e grave stato di ansia o paura per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona legata alla vittima da relazione affettiva.
In conclusione, posto in linea generale che lo stalking sui social network è da considerarsi una possibile applicazione pratica del reato di atti persecutori, sarà il Tribunale competente ad essere tenuto a ricostruire tutti gli elementi e le dinamiche del caso concreto, onde capire se effettivamente va applicato l’art. 612 bis c.p. sopra richiamato.
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