Quando avevo vent’anni mi drogavo coi film più fracassoni possibile e mi sembravano tutti bellissimi, epici, grandiosi. Arrivato a trent’anni ho iniziato a notare i difetti, e dopo cinque anni non li sopportavo più. Erano pressoché tutti brutti, insipidi, banali.
Le mie parodie sono nate dal fatto che ero stanco di buttare soldi al videonoleggio. Cercavo in Internet la sinossi di un film per evitare le fregature e trovavo solo il testo copincollato dall’agenzia stampa. Non diceva nulla. I trailer, viceversa, dicevano troppo o mentivano. Fare trailer è un’arte; spesso chi li fa è un maestro del montaggio e in tre minuti crea qualcosa più bello del film stesso.
A questo va aggiunto che ho cambiato modo di vivere. Come Jep Gambardella, ho deciso di dedicare il mio tempo libero a fare cose che mi piacciono e mi arricchiscono. Perché oggi non vedo differenza tra il solito strazio stile Sundance film festival e Vin Diesel che drifta in Antartide. Sono la stessa cosa. Personaggi stereotipati che causano svolte narrative prevedibili a cui loro antepongono scelte ovvie che per forza di cose porteranno a un finale scontato.
È da questo che è nata “la vera trama di”.
Dal fatto che non voglio bene a un protagonista da anni.
Nell’ultimo periodo, togliendo l’inciting accident, impiegavo quattro minuti d’orologio per detestarli. Sono scritti per essere comprensibili al sottodotato di Detroit, per fare in modo che la tizia che ha di fianco non debba girarsi e chiedere “questo è il cattivo?”. La tragedia, nella mia vita, si è consumata quando tutti in rete erano entusiasti de “La forma dell’acqua”, io sono andato al cinema, durante i titoli ero infoiatissimo perché pensavo fosse il film di Bioshock. Poi, come sulle montagne russe, dopo una lenta salita è stata una velocissima discesa verso il degrado.
Ho ancora, da qualche parte, l’incipit di quella parodia.
Penso sia stato il nadir della cinematografia mondiale, quel film. È tutto ciò che c’è di sbagliato oggi nel mondo concentrato in una pellicola. Potrei stare giorni, forse mesi a dire quanto quel film sia una stronzata sotto ogni singolo punto di vista.
Poi mi sono fermato e mi sono chiesto perché, in nome di Dio, devo perdere tempo a guardare robe brutte e poi perdere tempo a coglionarle, quando farei molto prima a guardare film belli. Così ho fatto. Ho cercato gli elenchi di film considerati capolavori. I primi 10, poi i 100, poi ho preso gli attori che mi piacevano e mi sono fatto le loro filmografie. I registi. Gli sceneggiatori. Ho recuperato tutti i grandi film italiani e alla fine di ognuno, quando scorrevano i titoli, mi sentivo più ricco.
Era strano: non c’erano state esplosioni, sparatorie, carri armati paracadutati, eppure mi sembrava d’essere sopravvissuto a una guerra.
L’ho fatto con di fianco Leonora, una nata nel 1990. Guardare quei film, dopo, ci faceva discutere. C’erano dilemmi morali, personaggi incredibili, momenti strazianti, umorismo, imprevedibilità e soprattutto i protagonisti ci suscitavano un’empatia gigantesca. A volte quei film mi hanno insegnato a bere, altre volte a vestirmi, altre ancora a comportarmi ma ogni volta mi hanno dato una lezione che mi ha arricchito. Sì, poi non ho scritto un post sul blog, ma ho scoperto scrittori e scrittrici che non avevo mai sentito nominare (Vicki Baum, per esempio) e ho visto cos’è davvero capace di fare il cinema quando gli interessava intrattenere l’essere umano, non un idiota farmacotossico.
Questo non significa che non scriverò più parodie di film o che i film di oggi siano tutti scrausi, occhio. È solo che a 39 anni non ho nessuna voglia di buttare due ore della mia vita guardando personaggi di plastica con vite di plastica e problemi di plastica.