E ora, la parola che tutti spaventa e allontana: valori
Di questa crisi di governo nessuno sa discutere o vuole farlo in termini diversi dalla tifoseria. Si fanno molti pronostici, moltissime ipotesi, gozziliardi di dietrologie, sì. Nei bar sport in cui mi siedo ad ascoltare i discorsi le cose vengono estremamente semplificate o stravolte, eppure ho la sensazione l’opinionismo abbia chiuso i rubinetti perché se ne capisce meno del solito.
Forse il punto non è la crisi di governo, ma il fatto che chiunque sa per chi tifare, ma non per cosa. Montanelli diceva che l’italiano vota contro un candidato, non a favore. Noi vogliamo fare rete nella porta avversaria e chiunque segni non ha importanza.
Ma se ce l’avesse?
La politica si fa sulla base dei principi e dei valori di cui un partito (ieri; oggi, un leader) si fa portavoce. Noi eleggiamo il parlamento, non il governo; deleghiamo a persone il compito di unirsi in base alle contingenze di programma, che a sua volta viene stilato su dei principi, che a loro volta si appoggiano su dei valori.
Facciamo un esempio: io sono orgoglioso che il carcere, in Italia, abbia uno scopo rieducativo e non punitivo. Credo nelle seconde possibilità e nella redenzione di un essere umano. Un altro potrebbe dirmi che invece, secondo lui, chi compie un reato dev’essere punito perché una persona non si può (o non si deve) rieducare.
Quali sono i nostri valori?
Cioè, anteponiamo cosa a cosa? Perché al netto di insulti, pernacchie, attacchi ad personam, io non sento più parlare di valori. Quando ho trovato un’analisi del Censis del 2012, ho scoperto che il primo valore di noi italiani è la famiglia. E questo è curioso, dato che è la cosa che s’è più disintegrata negli ultimi trent’anni. Dalle grandi casi padronali dove vivevano intere generazioni siamo passati a vivere da soli in cubicoli di 40mq e cercare un partner sui social – FYI NO ONS NO FWB. È molto facile portarsi a letto qualcuno, è molto più difficile tenercelo.
Siamo soli come non siamo mai stati prima.
A guardare gli altri valori (stiamo sempre parlando del 2012, sette anni fa), il 70% degli intervistati è convinto che vivere in un posto bello aiuti a diventare persone migliori, che la bellezza abbia una funzione educativa e che, addirittura, esiste una correlazione tra etica ed estetica. Qui mi fermo perché se mi metto a parlare di palazzi moderni VS. tutta l’architettura antecedente finisco per diventare idrofobo. Il 56% dei cittadini è convinto il proprio paese sia dove si vive meglio (+7% rispetto al 1998) e due italiani su tre (66%) non lascerebbero il suolo natìo manco se ne avessero la possibilità.
Segue la solita surreale richiesta di maggiori leggi, pene e onestà, poi arriviamo a un 82% di intervistati che crede nel paranormale. L’ottantadue per cento. Il 66% si affida alla religione praticata, il 16% osservante, mentre due italiani su tre mettono piede in chiesa il 30 febbraio. Sono numeri enormi e un pelo sinistri, se si conta che la chiesa cattolica, in Italia, è in crisi nera da anni. Significa che abbiamo smesso di credere ai preti per credere alla Wanna Marchi, o al paganesimo più vario. Mi viene in mente un saggio di Ralf Dahrendorf scritto dopo la crisi del 2008.
Davvero questo non c’entra, col clima che c’è nel paese?
Davvero lo scontro è tra Salvini, la Casaleggio e Zingaretti? Perché ho la sensazione che se andiamo a scavare a fondo nelle tifoserie non troviamo nulla da nessuna parte. Occhi pallati, voce alzata, insulti e attacchi sotto cui fluttua una sacca di valori fragili, confusi o inesistenti. Quando ho letto il programma elettorale del PD mi sono messo le mani nei capelli
Perché non diceva niente. Non si capiva né a chi parlava, né cosa diceva. Mi ricordo ancora la prima frase: “Più forte, più giusta. L’Italia”. WTF? Quello del M5S era una meraviglia di sintesi, invece: parlava solo di soldi. A chi li regalano, a chi li tolgono, a chi non li toccano. Quello della Lega aveva un target ben preciso che all’epoca si poteva in riassumere in “vorrei praticare sesso orale agli elettori di Berlusconi”. So che non li legge quasi nessuno, e che contano fin lì.
Ma ‘sti valori?
Dei ragionamenti, dei confronti in cui invece che di percentuali e accuse si ragiona?
Forse urliamo per paura e per coprire il fatto che sotto non abbiamo niente di sicuro da dire, e siamo spaventati dagli altri che urlano, senza sapere che lo fanno per lo stesso motivo. Si dice tanto di ripartire dalla scuola, dalle periferie, da Bibbiano, dalla fungia. In realtà forse basterebbero domande più dirette, ma più difficili: chi siamo, noi italiani? In cosa crediamo? Quali sono i valori che ci distinguono? Qual è la nostra filosofia di vita? È davvero così antitetica a quella del nostro vicino di casa?