Pensioni ultima ora: a fronte della possibile nascita del nuovo esecutivo sono molti gli interrogativi sul futuro previdenziale in Italia. Tante domande riguardano il destino di Quota 100. Ricordiamo che si tratta di una misura introdotta dal Governo Conte, sostenuto da M5S e Lega, con cui si consente la pensione anticipata a chi ha i due seguenti requisiti: 62 anni di età e 38 anni di contributi versati. Secondo quanto approvato col decreto n. 4/2019 Quota 100 sarà una misura temporanea: valida nel triennio 2019/2021. Salvo modifiche o novità legislative.
Pensioni ultima ora, tutti i dubbi su Quota 100
Ecco il punto: cosa succederebbe in caso di nuovo esecutivo M5S-Pd? La risposta è incerta. Anche perché non è neanche detto che il nuovo governo nasca. Nel frattempo, sulla base dei primi confronti che ci sono stati tra gli esponenti delle due forze politiche, si discute molto della materia pensionistica. E in base alle ricostruzioni si ipotizzano varie strade. Per Quota 100 si parla della possibilità che la sua durata possa essere ridotta da 3 a 2 anni. Ma non è l’unica opzione.
Repubblica ha riportato le parole di Marco Leonardi, già consigliere economico del governo Gentiloni: “I destinatari di quota 100 godono di un beneficio di circa 40 mila euro, molto consistente. Certo non si può pensare di revocare la misura a chi ha già acquisito il diritto, anche se non l’ha ancora esercitato, o a chi ha già stipulato patti con l’azienda, ma pensare a una conclusione anticipata della misura significherebbe reperire 4 miliardi intervenendo su una platea molto ridotta, non più di 100-150 mila persone, a fronte di un intervento sull’Iva che, per quanto selettivo, sarebbe comunque regressivo, e colpirebbe fino a 40 milioni di persone”.
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Da Quota 100 ad ape sociale strutturale?
Sul tema Quota 100 si registra anche l’intervento dei sindacati. Per la Cgil “sarebbe un errore interromperla prima del tempo, visto che i costi sono inferiori alle previsioni. Ma noi – afferma il segretario confederale Cgil Roberto Ghiselli – siamo soprattutto per una riforma strutturale, con una flessibilità in uscita dai 62 anni, valorizzando le contribuzioni di chi svolge lavori gravosi o di chi ha maggiori buchi contributivi, le donne e i giovani. Per i giovani poi bisogna pensare a una pensione di garanzia”.
E dal PD è la vicepresidente della commissione Lavoro del Senato Annamaria Parente a spiegare che il Pd preferirebbe “un’Ape Social strutturale che includa anche i lavori gravosi, individuati dalla commissione che avevamo istituito per una verifica dei requisiti. Il tetto dei 38 anni di contributi è poi troppo rigido, penalizza le donne e i lavoratori discontinui. Per le donne si potrebbe pensare ad aggiungere 12 mesi per figlio, o a una correzione di due anni”. Qui un nostro recente articolo sull’Ape sociale.
Un’altra strada passerebbe dall’idea di consentire l’uscita a 64 anni di età. Ma come detto e specificato si tratta per ora solo di ipotesi. Eventuali modifiche potranno avere luogo solo a fronte della nascita di un nuovo governo e sulla base delle decisioni che andrà ad assumere.
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