Cambio ccnl unilaterale: termini, requisiti e quando non è legale
Cambio CCNL unilaterale: quando ne ricorrono gli estremi e come si può attuare. Le circostanze in cui è considerato non legale
La legge ammette il cambio di CCNL (contratto collettivo nazionale del lavoro) unilaterale, nel corso del tempo e per ragioni differenti. Vediamo allora i termini, i requisiti e quando invece non è consentito dalla normativa giuslavoristica.
Cambio CCNL unilaterale: quando?
Come accennato, sono diverse le possibili ragioni del cambio di contratto collettivo. Se è vero che la discussione sul tipo di contratto collettivo di lavoro da applicare, è tipica della fase iniziale e di avvio dell’attività aziendale, è altrettanto vero che tale contratto può mutare in un secondo tempo se per caso cambiassero le esigenze del datore di lavoro. Ciò, ad esempio, perché subentra una crescita delle dimensioni e del personale dell’azienda; oppure perché si è avuta una cessione di azienda o di uno o più rami aziendali; oppure ancora in quanto l’azienda, col passare del tempo, cambia il proprio settore di produzione.
Come effettuare il cambio CCNL
Prassi e giurisprudenza hanno indicato che la scelta del datore di lavoro di effettuare il cambio CCNL unilaterale, può risultare conforme alla legge. Insomma l’azienda può decidere legittimamente di cambiare il CCNL applicato ai propri dipendenti, ma tenendo conto di alcuni aspetti procedurali essenziali, vale a dire la disdetta unilaterale da parte del datore di lavoro e il cosiddetto accordo di “armonizzazione” contrattuale, concretizzato con un accordo collettivo aziendale, e quindi in modo bilaterale.
Per ciò che attiene al primo aspetto procedurale, la valutazione è legata al fatto che il datore di lavoro sia o meno aderente ad una associazione sindacale di categoria. In tale ipotesi, il datore di lavoro sarebbe legato ad un obbligo sindacale specifico, avendo esso stesso delegato la categoria a firmare accordi, tra i quali ovviamente il CCNL. Sarà fondamentale ai fini del cambio CCNL unilaterale, quindi, dare disdetta dall’associazione sindacale, slegandosi così dall’obbligo contrattuale accennato.
Per ciò che attiene al secondo aspetto procedurale, ovvero nel caso di procedure sindacali “bilaterali”, ammesso che sarebbe sufficiente un accordo aziendale di cambio del CCNL, è tuttavia preferibile attivare quello che solitamente è denominato accordo di “armonizzazione” tra i due CCNL. Attraverso di esso, infatti, è possibile stabilire e chiarire i livelli e le mansioni tra i due contratti, ma anche disciplinare, all’interno del contratto stesso, fattori specifici, come, ad esempio, disposizioni economiche che, in qualche modo, coprano la eventuale differenza peggiorativa della retribuzione del nuovo CCNL applicato dal datore di lavoro.
Conclusioni
Se è pertanto vero che è ammissibile – secondo le procedure viste sopra – il cambio CCNL unilaterale da parte del datore di lavoro, è altrettanto chiaro che il recesso dal contratto collettivo in oggetto, con contestuale modifica dei trattamenti applicabili ai lavoratori – anche in modo peggiorativo – incontra dei limiti. Infatti, se da una parte, la contrattazione collettiva deve rispecchiare l’evoluzione economico sociale del settore di riferimento, dall’altra, il potere di cambio CCNL unilaterale si contrappone ai diritti già acquisiti nel patrimonio del lavoratore, in base al contratto collettivo precedente. Pertanto, sarà compito del lavoratore capire se ha dei diritti acquisiti e, in caso positivo, potrà citare il proprio datore di lavoro in giudizio, per vedersi riconosciute le proprie ragioni.
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