Un dettaglio che mi affascina nel mondo di oggi è IL motore di ricerca. Ce ne sono tanti, sì, in teoria. In realtà ne esiste uno solo, è la homepage di miliardi di persone nonostante gli sforzi che altre aziende provano a fare. Ora, ipotizzate di avere una pasticceria artigianale con il gelato più buono del mondo a Cozzago. Vi fate la vostra paginetta Internet o la pagina Facebook, e la gente quando cerca “gelateria Cozzago” vede subito il vostro nome.
“Non essere cattivo”, dicevano.
Poi però succede che a Cozzago arriva una grande catena di gelati fatti con le polverine, che se la mena tantissimo ma ha enormi mezzi economici. Paga il motore di ricerca per essere in cima ai risultati e voi scendete. All’improvviso la clientela – perlopiù turisti stranieri, Cozzago è una meta ambitissima – cala, e con loro il fatturato. Impiegate poco a scoprire il problema. Siete sostanzialmente costretti a pagare per tornare nel posto che vi spetta.
Se state pensando al pizzo, avete ragione.
Non esistono regole né concorrenza, in quel mondo. Solo tasse che sono destinate, per ovvie logiche di mercato, a salire. La stessa cosa si applica al più famoso – e vecchio – social network, in cui più una pagina riceve fan, più cala in visibilità e più aumentano le richieste di denaro. Io ho una pagina con 12k fan, non è nulla di che.
Eppure da qualche tempo mi appaiono richieste di soldi sempre più pressanti; sponsorizza il contenuto per 20, 40 euro in modo da raggiungere più persone. Io non ho mai pagato una lira – già scrivevo gratis, mancava solo pagassi per lavorare – ma altri sì. Il risultato è stato bizzarro: per qualche tempo, le interazioni sono salite vertiginosamente. Poi son pian piano calate, e per riportarle ai numeri iniziali, servivano più soldi.
Finché i costi diventavano insostenibili.
È quel meccanismo infame che oggi si trova anche in tanti giochi per cellulare, che si chiamano “pay for win”. Ti seducono con un’estetica bellissima, ti fanno vincere finché diventi dipendente, e poi ti levano la pelle.
La visibilità social è una balla
Un’illusione uguale in tutto e per tutto alle vincite delle slot machine. Paghi e hai like, commenti e condivisioni, ma a patto che i lettori non abbiano smanettato per assicurarsi di ricevere una notifica quando pubblichi – e sono meno dell’1% – il resto sono fruitori occasionali. Vedono, magari cliccano, ma poi si dimenticano di te, della testata e dell’articolo. Non è che vanno a vedere il sito durante il giorno; nasce e muore in quel singolo istante.
Molte testate nazionali, una in particolare, sono finite in questa ghigliottina e per compensare hanno dovuto rendere gli articoli più pop, più trash, più accattivanti per il popolo. Il giornalismo è passato dal voler spiegare e tradurre le cose complicate per il lattaio, che leggeva interessato, al fare giocoleria con le uova davanti a un lattaio in overdose da informazione.
Notizie, articoli, siti d’informazione e altre vittime della ndrangheta
Sono tutti in mano a una sola azienda, che dall’alto di nessuno sa cosa decide quali giornali sono meritevoli di lettura e quali no. Secondo alcuni ci sono blacklist, secondo altri addirittura delle graduatorie. Ed è una cosa che non accetteremmo per nessuna ragione da qualsiasi altra azienda.
È come andare nell’unico supermercato del mondo, chiedere una fettina di vitello e ricevere una busta bianca chiusa. Se chiedi cosa c’è dentro, dov’è stata allevata o macellata, o perché costa tanto, non ti rispondono. Non puoi nemmeno sapere se è commestibile, o cambiare macelleria.
A me spaventa, quando ci penso
Perché sì, è facile – tanto – prendersela con la qualità dell’informazione, con gli articoli acchiappaclick, ma ci dimentichiamo che sono stati fatti e creati perché non c’è alternativa. Se la macelleria smette di vendere la tua merce tu fallisci, nessuno verrà direttamente da te se non rarissimi casi. Non abbiamo un’informazione a chilometro zero, in Internet.
È opinione diffusa che oggi non si leggano i long form; non è del tutto sbagliato, perché le persone normali lavorano e trovare 10 minuti per leggere 20.000 battute non è semplice. Poi spesso sono scritti male da incapaci o da professionisti che lavorano con il fiato sul collo.
Ma è anche perché non sanno della loro esistenza.