La polemica del giorno

Pubblicato il 9 Settembre 2019 alle 14:34 Autore: Nicolò Zuliani
La polemica del giorno

L’indignatio lavandaiae del lunedì verte su un titolo de Il Giornale, “Il gigante buono e quell’amore non corrisposto” in riferimento al presunto omicida di Elisa Pomarelli. Il testo dell’articolo è impeccabile, e spiega che “Gigante buono” si riferisce all’immagine che il paese dell’imputato aveva di lui. Però sappiamo che le persone s’indignano per tre parole in grassetto, e se l’argomento è la cronaca nera adorano scrivere prima di pensare.

Come spiego nel mio TEDx, è grazie a questo meccanismo che centinaia di capipopolo hanno fatto fortuna e che milioni di italiani si autodistruggono l’umore e il fegato in Internet. Certo, il vero significato del titolo sarebbe dovuto essere “In paese lo credevano un gigante buono che soffriva per un amore non corrisposto”, ma i titoli – soprattutto nel web – non sono fatti perché il lettore pensi “ah, che titolo ben confezionato” e poi tiri dritto per andare a cliccare “PAZZESCO! STA SUCCEDENDO A VENEZIA” e vedere tre studenti ubriachi in campo Santa Margherita.

NO!

I titoli sono fatti perché la gente ci clicchi.

Non sto avvallando il clickbait, occhio, né dicendo che quel titolo sia perfetto. Ma è comunque funzionale, e in maniera legittima. I titoli sono definibili “acchiappaclick” se sono fuorvianti, allarmisti o se dentro ci troviamo spazzatura; viceversa, se clicco e trovo una notizia coerente con il titolo e contenuti congrui, allora il titolista ha solo fatto il suo lavoro. L’acchiappaclick pattumiera è come portarsi in albergo una tizia e lei quando si spoglia lascia tre quarti di tette nel reggiseno. Il titolo di Libero ti fa aprire dicendo WTF?, sì, ma poi dentro si spiega.

Da qualche anno testate di ogni fede politica si sono accorte che mentre i titoli clickbait screditano la testata in breve tempo, viceversa l’hatebait genera un traffico mostruoso e costante. La gente non va dove viene truffata, ma accorre dove può insultare ed essere insultata. Una volta si chiamavano provocazioni, oggi trollate, ma è sempre lo stesso giochino.

Il punto, semmai, è la reazione a questa roba.

Da anni testate come Il Giornale o Libero fanno titoli provocatori, tanto quanto svariati politici sono passati dalle dichiarazioni istituzionali alle sceriffate da paese. Quello che mi lascia allibito è come i loro antagonisti abbocchino ingoiando esca, amo e lenza. Siamo nel 2019, è noto a tutti che un titolo provocatorio è una tanica di benzina spanta. Eppure gli opinionisti devono per forza gettarci fiammiferi accesi e battere la grancassa. Lo fanno anche persone di cui ho la massima stima, e quando in privato gli domando perché, rispondono “hai ragione ma non si può lasciar correre”.

Come no?! È l’unico modo per affondare qualcosa, in Internet!

E dopo il tuo post, beccati questa lettera aperta

Se non incendi la benzina, quella evapora

L’ha detto Guccini un sacco di tempo fa: godo molto di più nell’ubriacarmi, oppure a masturbarmi, o al limite a scopare. Se invece di premurarsi di screenshottare una testata rivale, pubblicizzarla a tutti i nostri contatti e tenerla in hate parade per giorni facessimo cose più costruttive tipo boh, leccare lo schermo o imparare come si restaurano vecchi oggetti, a fine giornata avremmo comunque buttato il tempo alle ortiche, ma almeno non avremmo lavorato gratis per la concorrenza.

“Nella fine, umanità è il suo proprio nemico”

Il nostro fegato ne sarebbe felice. Eppure, a quanto pare, è più forte di noi; magari dipende dal fatto che per decenni ci hanno detto di lavorare per la visibilità, vai a sapere.

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L'autore: Nicolò Zuliani

Veneziano, vivo a Milano. Ho scritto su Men's Health, GQ.it, Cosmopolitan, The Vision. Mi piacciono le giacche di tweed.
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