Non puoi bombardare ciò che esiste solo a volte
È un giorno di giugno del 1831 e siamo nel mar Ionio, a 22 miglia dalla costa siciliana. L’Italia non è ancora unificata, c’è vento e l’aria puzza di zolfo come se si fossero aperte le porte dell’inferno. A bordo della HMS Rapid, il comandante Charles Henry Swinburne vede branchi di pesci morti che galleggiano, poi nota un lungo pennacchio di fumo da cui cadono lapilli.
Prende il binocolo e ha il raro privilegio di vedere un’isola che l’umanità non vedeva dal 10 a.C.; quell’isola non ha nome, non è sulle carte geografiche e non appartiene a nessuno. Emozionatissimo, dopo averla circumnavigata, ci pianta una bandiera e la battezza Graham island.
Se c’è una cosa che accomuna l’intera popolazione terrestre – o i giocatori di Risiko – è il desiderio di possedere un pezzo di terra al centro del Mediterraneo, perché a livello navale e strategico non ha prezzo. L’isola di Graham è così perfetta da sembrare finta: disabitata, più vicina all’Europa di Malta, è il porto marittimo e militare ideale per avere il controllo delle rotte commerciali.
Poi arrivano i siciliani.
Quando re Ferdinando II viene a sapere dell’isola, manda una nave militare (l’Etna), fa strappare la bandiera inglese e la sostituisce con quella Borbonica, ribattezzando l’isola Ferdinandea. La storia impiega poco tempo a raggiungere i giornali, poi i politici, e la Spagna si dimostra subito interessata a quest’isoletta. I francesi decidono di mandarci direttamente una loro nave con a bordo due geologi, Constant Prevost e Edmond Joungille; il 28 settembre scendono, tolgono la bandiera Borbonica e ci mettono quella francese, ribattezzandola Isola Giulia.
E questo allegro giochetto prosegue: l’isola viene chiamata Sciacca, Nertita, Hotham, Corrao, Graham di nuovo. Per cinque mesi gli ambasciatori di Spagna, Regno delle Due Sicilie, Francia e Inghilterra si scannano sulle pagine dei giornali e aprono una crisi internazionale, mentre il mare pullula di navi militari inglesi, tanto che Ferdinando II deve mandare le sue.
I pescatori siciliani si sono già improvvisati tour operator e conducono semplici curiosi, pittori, scrittori e giornalisti a vederla. Di questi alcuni ci salgono e ne fanno una topografia, grazie alla quale sappiamo che era di quattro chilometri quadrati con due minuscoli laghi. I nobili borboni intanto si fregano le mani e pianificano di costruirci un resort termale di lusso.
È inutile, perché l’isola sta tornando negli abissi a vista d’occhio; il 17 dicembre 1831, due ufficiali napoletani comunicano al comando che l’isola Ferdinandea è tornata a dormire sul fondo del mare, incurante dell’umanità. Nel 1987 riappare giusto per dimostrare al mondo l’essenza dell’intelligenza americana che per vendicarsi di un attentato terroristico in Germania, la bombarda scambiandola per un sottomarino libico.
“Non riusciamo a distinguere un sottomarino da un’isola di quattro chilometri quadrati” è forse il motto più perfetto mai coniato per le forze armate statunitensi, che in materia di isole bombardate per errore hanno una lunga tradizione.
Ma l’isola è ancora lì, che fluttua a una profondità che varia dagli 8 ai 120 metri di profondità. E gli inglesi la considerano ancora loro, nonostante la convenzione internazionale di Montego bay (1982) stabilisca che il banco di Graham – è isola una volta ogni tanto – siccome dista dalle nostre coste 24 miglia è nella piattaforma continentale italiana. Giusto per farlo presente, i siciliani nel 1995 ci mettono una targa di marmo sott’acqua; poco più tardi, quando geologi ed esperti vanno nei loro abituali giri esplorativi, la trovano spaccata, e fu subito sostituita.
Questa storia è a tutt’oggi irrisolta.
Nel 2019 esiste ancora un pezzo di terra inesplorata e di nessuno. Camilleri ci ha scritto Un filo di fumo, Pirandello ha accennato alla sua esistenza, così come Jules Verne. Adesso basta che qualcuno ci ambienti un delitto e abbiamo il legal thriller già scritto.