Statuto dei lavoratori: cos’è, a che serve e quando è nato
Statuto dei lavoratori: qual è l’origine storica e quali sono le ragioni fondative di questa fondamentale legge. Articolazione e finalità pratiche di essa.
Lo Statuto dei lavoratori è una tappa fondamentale per ciò che attiene il riconoscimento di tutele e diritti alla categoria dei lavoratori. Anzi può in pratica definirsi come una sorta di dettagliata “prosecuzione” normativa di quanto sancito, in via generale, all’art. 1 della Costituzione italiana (“L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”) e da altri suoi articoli dedicati al tema del lavoro. Vediamo allora, più da vicino, qual è la sua funzione e l’effettiva origine di questa essenziale carta dei diritti.
Statuto dei lavoratori: origine storica e ragioni fondative
“Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento“: è questo il nome dello Statuto dei lavoratori, ovvero della legge n. 300 del 1970. Se ci chiediamo dell’origine storica di questo fondamentale provvedimento, non possiamo non fare riferimento ai principi contenuti nella Carta Costituzionale, i quali affermano il diritto al lavoro come diritto ad elevare la propria personalità, di affermarsi nella società e contribuire al progresso del paese. Ma non solo: tutela del lavoro significa anche diritto ad una giusta ed equa retribuzione, protezione del lavoro minorile e del lavoro delle donne, diritto allo sciopero e diritto alla libertà sindacale.
Queste regole cardine della Costituzione trovano la loro “concretizzazione” proprio nello Statuto dei lavoratori, che è nato proprio nell’esigenza di dare applicazione dettagliata e pratica di questi principi essenziali. Ciò nella consapevolezza che nel contratto di lavoro, il lavoratore (di qualsiasi settore) è di fatto il contraente “debole” rispetto all’altro contraente, datore di lavoro o azienda. Era necessario allora colmare questo squilibrio di fondo attraverso un testo ad hoc, quale appunto lo Statuto dei lavoratori. Tale scelta, agli occhi del legislatore dell’epoca, è apparsa doverosa, in quanto non sarebbe stato possibile, nel testo del contratto di lavoro, rivendicare e conquistare i diritti affermati nello Statuto.
Occorre rimarcare che il bisogno di una regolazione precisa ed equa dei meccanismi e dei rapporti del mondo del lavoro, guadagnò rilevanza, negli ambienti politici e sindacali, proprio negli anni ’60. Ciò in quanto fu necessario, nel dopoguerra, rivedere e correggere tutti i rapporti sociali in chiave democratica, in particolare con riferimento proprio alla questione del “giusto” rapporto di lavoro, alla luce dei principi costituzionali.
Che fonte normativa è e com’è organizzato
Tecnicamente, lo Statuto dei lavoratori è una comune legge ordinaria dello Stato: ne consegue che è modificabile da qualsiasi altra legge ordinaria dello Stato, in base alle regole della gerarchia delle fonti del diritto. Pertanto, pur avendo un significato molto più profondo rispetto a quello di tutte le altre leggi sul lavoro, resta comunque modificabile dal parlamento, senza particolari vincoli o difficoltà. Tale testo è schematicamente suddiviso in sei parti, definite titoli: il titolo 1 contiene norme inerenti la libertà e dignità del lavoratore; il titolo 2 contiene norme riguardanti la libertà sindacale; il titolo 3 contiene norme sull’attività sindacale; il titolo 4 contiene norme varie e generali; il titolo 5 contiene norme relative al collocamento; il titolo 6 contiene norme penali e norme finali.
Lo Statuto dei lavoratori, nonostante siano passati ormai quasi 50 anni dalla sua entrata in vigore, resta un vero e proprio testo chiave in molte materie, come il licenziamento nelle aziende più grandi, i diritti di natura sindacale, la normativa sui controlli a distanza dei dipendenti. Anzi, può senza alcun dubbio essere definito l’ossatura e la base di molti successivi testi sulla tutela del lavoro in Italia, che ad esso fanno più o meno esplicito riferimento.
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