Politici, folla e paura in alta definizione
Da giorni si parla dello scisma tra Renzi e il PD. Chi è contro, chi è a favore. Chi sostiene che Renzi si farà molto male, chi invece sostiene il PD senza di lui sia destinato all’estinzione. Hanno tutti un’opinione molto forte sull’alleanza M5S-PD: c’è chi la detesta e chi la vedeva come unica strada per sconfiggere Salvini, l’uomo con più soprannomi della politica italiana. Quello che accade lo sanno tutti, la strategia invece è fonte di infinite ipotesi e speculazioni.
La sinistra si scinde, è il suo hobby preferito.
Provare a tracciare la scind-ler’s list dai tempi del PCI in poi è come cercare di sbrogliare i fili delle cuffiette al buio. Storicamente, i partiti di sinistra si dividono in scaglioni che diventano pezzi che diventano frammenti che diventano particelle fino a diventare il Fronte del popolo. Accade per divergenze di opinioni, ma più spesso per brama di potere dei vari wannabe leader al suo interno. Prima non succedeva, dirà qualcuno; forse lo strano sincronismo tra fine del PCI e interruzione dei finanziamenti da Mosca hanno qualcosa a che vedere, ma sono speculazioni anche queste.
C’è una cosa, però, che manca.
L’ho pensato guardando la folla che aggrediva i giornalisti di Repubblica. Ho guardato anche gli insulti a Gad Lerner (che si presenta con una splendida giacca sartoriale sabbia e una camicia gingham lilla, outfit splendido per località balneari). Guardando la folla vedo i soliti tizi vestiti di stracci nei centri commerciali, per strada, in coda alle poste, che non vedono l’ora di alzare la voce e urlare, urlare, urlare contro qualcosa o qualcuno. Donne e uomini ultrà in pectore con la voce in gola e l’occhio sbarrato a caccia di un bersaglio. C’è chi ci vede odio, razzismo, ignoranza e sicuramente ha ragione, ma non trovo un opinionista che noti l’emozione predominante.
Sono tutti terrorizzati.
Una persona dice quello che prova col tono di voce, non con le parole. Riconosciamo un grido di orrore da quello di paura o di disperazione senza che ci siano frasi in mezzo. Guardando quella folla sent quel tipo di sfogo rabbioso e disperato che nasce solo dalla frustrazione.
Magari dipende dai quartieri dove sono cresciuto, con le siore dalla vita agra che cantilenano un frignare costante e solenne anche quando parlano di verruche e buoni spesa. Ma loro, noi, abbiamo vissuto condizioni di vita immensamente peggiori.
Ho visto donne nella seconda metà dei cinquanta che a 20 anni hanno visto bombe, attentati, stragi e crisi economica. Uomini di sessantacinque nati nel boom economico che a trent’anni hanno vissuto la spaccatura tra ricchi e poveri, i magici anni ’80 dove se funzionavi avevi la Ferrari e se non funzionavi avevi solo disprezzo ed eroina.
Gente nata in paesini del sud arrivata al nord con valigie di cartone che viveva in 20 metri quadri con tutta la famiglia, magari in una soffitta abusiva, magari in una cantina. Com’è possibile non avessero quella frustrazione, nelle interviste? Vivono uno schifo e sono quieti. Persino quando sono incazzati, il tono è fermo. È diverso.
Perché avevano una speranza.
Oggi nessuno parla di speranza, né pensa di darla. Ovunque è solo una fine inevitabile tramite avvento delle armate immigrate, o delle armate fasciste, o dell’Europa-SPECTRE e per salvarsi si può solo farli affogare in mare, o appenderli a testa in giù, o staccarsi dalla UE. Ma così non dai speranza, generi solo crisi di nervi e di coscienza in esseri umani che non sarebbero cattivi, ma vengono infilati in una rete da salmoni che si stringe sempre di più finché sono costretti a isolarsi o diventare bestie rabbiose.
Pertini, nel discorso del 1978 che ho pressoché imparato a memoria, ha appena seppellito Aldo Moro e l’Italia è tempestata di attentati, bombe e omicidi politici. Lui, parlando a braccio, dice “Ho una grande fiducia nel popolo italiano. È un popolo generoso che si è trovato in circostanze difficili, eppure ha saputo superarle. Ebbene, io ritengo che noi potremo risalire la china, se riusciremo a mantenere l’unità nazionale”.
Abbiamo bisogno di un centro, oggi più che mai.
Un partito per i moderati, per quelli che ancora credono nel ragionamento, nell’azione e nella mediazione, che osannino la trattativa; insomma, quella che era la politica prima di Internet. Abbiamo bisogno di un partito che prima di tutto dica che non c’è niente di male a essere ragionevoli, o spaventati, o deboli. Un partito che ci dica che abbiamo speranza, perché il nostro popolo si è rialzato da orrori e difficoltà inimmaginabili.
Ci stiamo estremizzando e allontanando per un problema di linguaggio, non di psicologia o di società. Era a questo che doveva servire il centro e nel 2019 ne abbiamo un bisogno gigantesco.