Laddove sia celebrato un processo e questo si concluda con una sentenza di condanna alle spese processuali, la parte soccombente si trova costretta – al fine di rispettare il pronunciamento del giudice – a pagare le cosiddette spese del processo. Tuttavia può ben succedere che il condannato sia nullatenente ed allora appare opportuno domandarsi se comunque tale soggetto, ovvero colui che ha un reddito pari a zero, rischia qualcosa. Vediamolo.
Spese processo e iter in caso di sentenza di condanna
La questione ha certamente un grande rilievo pratico. L’iter, in caso di sentenza di condanna, prevede che questo provvedimento sia notificato alla parte soccombente e, in caso di inadempimento alle imposizioni poste dal giudice, è prevista la procedura supplementare della cosiddetta “esecuzione forzata“, anche detta “pignoramento” dei beni del debitore. Essa è finalizzata a recuperare con la forza (e quindi anche contro la volontà del condannato) i soldi o comunque quanto spettante al creditore o ai creditori. Questo però in via generale, rappresentando lo status di nullatenente, e le conseguenze che ne derivano, un’ipotesi particolare rispetto alla regola generale.
Le spese del processo sono date dalla misura dell’importo che la parte condannata e soccombente deve pagare a quella vincitrice, a titolo di rimborso di tutti i costi sostenuti per la causa, compresa la parcella dell’avvocato. Come accennato, se il debitore sconfitto all’esito del giudizio non versa quanto stabilito dal magistrato, tocca al creditore, per il tramite del proprio avvocato, attivare la procedura di pignoramento, previa individuazione dei beni intestati al condannato. con un ulteriore mandato da conferire al proprio avvocato.
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Che succede se si è nullatenenti
Può però succedere che la parte soccombente sia nello status di nullatenenza, vale a dire senza intestazione di beni mobili e/o immobili, né redditi (stipendi, pensioni, sussidi, ecc.). Una persona è nullatenente anche quando ha la titolarità di redditi non pignorabili, come, ad esempio, una pensione al di sotto del minimo vitale.
In queste circostanze, la legge ammette che la parte sconfitta nullatenente potrà essere condannata alle spese processo, anche se ammessa al gratuito patrocinio. Ciò in quanto questo strumento esonera dal pagamento delle sole spese iniziali del giudizio. Pertanto in caso di condanna, le spese processo non sono pagate dallo Stato, bensì dal condannato stesso.
In verità se questa è la disciplina normativa, nella realtà cercare di ottenere quanto spettante dalla parte soccombente e nullatenente risulta un’operazione infruttuosa, almeno fino a quando non cambia la situazione patrimoniale del condannato. Infatti, potrebbe succedere che, in un secondo tempo, il nullatenente diventi proprietario di una casa in eredità oppure di qualche gioiello, oppure potrebbe ricevere un bonifico in banca o intraprendere un nuovo lavoro (il cui stipendio sarebbe pignorabile entro il limite di un quinto).
In queste circostanze, sarebbe ben possibile ottenere che la parte soccombente paghi con gli averi subentrati nel suo patrimonio. In caso di disoccupazione, la legge invece prevede che prestazioni come reddito di cittadinanza ed assegno di disoccupazione, non siano pignorabili.
C’è però un fattore a cui il creditore deve prestare doverosa attenzione. Nel tempo in cui attende l’eventuale mutazione della situazione patrimoniale del debitore, il creditore deve ricordarsi di non far prescrivere il proprio diritto: pertanto, prima della scadenza di 10 anni dovrà rinnovare il cosiddetto atto di precetto o quantomeno inviare una diffida con raccomandata a.r., per il tramite del proprio avvocato. In sintesi, per questa via sarà possibile conservare il credito per tutta la vita del debitore, ma anche dopo la sua morte, verso gli eredi che non rinunciano all’eredità.
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