Il salario minimo, fissato a 9 euro, è un punto fortemente caldeggiato dal Movimento 5 Stelle. Dopo essere stato tra gli obiettivi prioritari mancati a causa della caduta dell’esecutivo del governo giallo-verde, è entrato a far parte del programma di governo Conte bis sostenuto da M5S-Pd-Leu e da pochi giorni Italia Viva.
Al punto 2 del programma infatti si legge.
2) Occorre: a) ridurre le tasse sul lavoro, a vantaggio dei lavoratori; b) individuare una retribuzione giusta (“salario minimo”), garantendo le tutele massime a beneficio dei lavoratori; c) approvare una legge sulla rappresentanza sindacale; d) individuare il giusto compenso anche per i lavoratori non dipendenti, al fine di evitare forme di abuso e di sfruttamento in particolare a danno dei giovani professionisti; e) realizzare un piano strategico di prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali; f) introdurre una legge sulla parità di genere nelle retribuzioni, recepire le direttive europee sul congedo di paternità obbligatoria e sulla conciliazione tra lavoro e vita privata.
Salario minimo, gli effetti pratici nell’ambito del lavoro domestico
C’è tuttavia la possibilità che così come è impostato il salario minimo produca per alcune famiglie un danno anziché un beneficio. Ne ha parlato, numeri alla mano, il quotidiano Il Sole 24 Ore che in un articolo ha approfondito la questione relativamente agli aumenti con cui si inciderebbe su chi ha alle dipendenze un lavoratore domestico.
Attualmente, riferisce il quotidiano economico, la paga oraria prevista dal Contratto collettivo del lavoro domestico (che è in fase di rinnovo) oscilla da 4,62 euro a 8,21 euro lordi all’ora in base ai diversi livelli di inquadramento e di specializzazione dei lavoratori assunti.
Secondo il disegno di legge in discussione ai lavoratori andrebbe riconosciuta la retribuzione prevista dal contratto collettivo nazionale in vigore per il settore, «e comunque non inferiore a 9 euro all’ora al lordo degli oneri contributivi e previdenziali». In pratica secondo i calcoli proposti da Il Sole 24 Ore le famiglie andrebbero incontro ad un aumento notevole dei costi.
Salario minimo, alcuni esempi
“Il costo – si legge nell’articolo – di una badante convivente impiegata per 54 ore a settimana (livello A), da 11.629 euro a 32.152 euro all’anno (+176,5%). Per una baby sitter assunta al livello BS, non convivente, impiegata per 25 ore a settimana, il costo annuale passerebbe da 8.028 euro a 14.654 euro (+82,5%)”.
Il rischio inevitabile di fronte a costi probabilmente neanche sostenibili da molte famiglie è di aumentare la percentuale di lavoro nero che già non manca nel settore del lavoro domestico.
Addirittura secondo le stime di Domina e Fondazione Leone Moressa, solo il 10% dei pensionati oggi può permettersi di pagare una badante a tempo pieno con il solo reddito da pensione. Un 10% che scenderebbe all’1,8% col salario minimo.
Testo emendamento
La problematica è emersa durante le audizioni svoltesi in Commissione Lavoro dove a far presente la questione ci hanno pensato le associazioni dei datori di lavoro domestico.
Una possibile soluzione? Il ministro del Lavoro Nunzia Catalfo che sino a poco tempo ha guidato nelle vesti di presidente la Commissione permanente Lavoro pubblico e privato, Previdenza sociale del Senato sta lavorando ad un emendamento con cui escludere il settore del lavoro domestico dall’applicazione del salario minimo a 9 euro.
Di seguito il testo dell’emendamento: «Per le prestazioni di lavoro domestico rese a favore di persone fisiche che non esercitano attività professionali o di impresa l’importo del trattamento economico minimo orario (…) è definito, sulla base del trattamento economico minimo previsto dal contratto collettivo nazionale del settore, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, da adottare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sentite le associazioni sindacali dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. Fino all’adozione del decreto l’importo di cui al comma 1 è il trattamento economico minimo previsto dal contratto collettivo nazionale di settore comparativamente più rappresentativo».
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