Cerchiamo di chiarire i contenuti del cosiddetto abuso d’ufficio, vale a dire un reato commesso nell’esercizio di una determinata attività lavorativa nel settore pubblico, ed oggetto – negli ultimi anni – di modifiche normative sostanziali. Vediamo inoltre le questioni della prescrizione e della procedibilità, ad esso strettamente connesse.
Abuso d’ufficio: di che si tratta? che cosa è tutelato?
Se ci chiediamo che cos’è l’abuso d’ufficio e da quali azioni criminose è integrato, non possiamo non fare riferimento all’art. 323 del Codice Penale, il quale ne dà la puntuale definizione. Tale reato è commesso quando il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio “nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto“. La pena prevista per questo illecito penale non è affatto irrilevante, consistendo nella reclusione da un minimo di un anno ad un massimo di quattro anni.
Come accennato, l’originario reato di abuso di ufficio ha ricevuto delle modifiche di rilievo, da parte delle leggi n. 86 del 1990 e n. 234 del 1997, le quali lo hanno espressamente distinto dal reato di abuso di potere nei provvedimenti amministrativi; e, soprattutto, ne hanno maggiormente dettagliato i contenuti, con riferimento specifico alle condotte penalmente rilevanti. In altre parole, oggi la norma è meno astratta, tanto da non doversi più definire una sorta di “norma penale in bianco”. Nella precedente formulazione era punita, infatti, una qualsiasi generica antidoverosità del comportamento (lasciando spazio ad interpretazioni variabili); oggi la nuova formulazione dell’art. 323 c.p. subordina l’illecito penale al verificarsi di specifiche condotte che intenzionalmente procurano un danno ingiusto o un ingiusto vantaggio. Si tratta se Occorre ricordare anche che il legislatore ha inteso aggravare le conseguenze di detto reato, attraverso l’art. 1 della legge n. 190 del 2012, che ha innalzato la pena, prima prevista nei limiti edittali di sei mesi e tre anni.
La norma è mirata a tutelare due beni giuridici distinti: da un lato, il buon andamento e la trasparenza dell’attività della PA e dei suoi funzionari; dall’altro il patrimonio del terzo danneggiato dall’abuso di ufficio del pubblico funzionario, ovvero dalle ingiustificate prevaricazioni compiute dalla pubblica autorità.
Procedibilità e prescrizione
Dal punto di vista procedurale, ci sono alcuni aspetti essenziali da tenere in considerazione, circa il reato di abuso d’ufficio. Anzitutto, l’autorità giudiziaria competente è il Tribunale collegiale e non il giudice monocratico (art. 33 Codice di procedura penale) e la misura pre-cautelare dell’arresto è ammessa solo in flagranza di reato (art. 381 c.p.p.) mentre, invece, il fermo non è mai ammesso. Data la particolare gravità del reato, l’abuso di ufficio è procedibile d’ufficio (art. 50 c.p.p.), con tutte le formalità di rito, tra cui la celebrazione dell’udienza preliminare. Ricordiamo che un reato è perseguibile d’ufficio laddove lo Stato (in particolare la Procura della Repubblica) procede nei confronti del responsabile (in questo caso l’autore del reato di abuso d’ufficio), a prescindere dalla volontà della persona offesa, ovvero della vittima di abuso d’ufficio. In altre parole, l’azione penale è esercitata dal PM, anche se la vittima effettiva non effettua querela o se addirittura non vuole che il colpevole sia processato e condannato.
Circa la questione della prescrizione come causa di estinzione del reato, per quanto attiene all’abuso di ufficio, esso si prescrive entro sei anni (ciò in base al dettato dell’art. 157 c.p.). La giurisprudenza ha poi chiarito qual è il momento dal quale inizia a decorrere tale prescrizione: i giudici sono concordi nell’affermare che il momento consumativo del reato è quello in cui l’atto produce l’effetto (ingiusto).
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