Leggere chat Whatsapp e social altrui: quando è reato e cosa si rischia
Chat whatsapp e social altrui: quando è reato leggere le conversazioni private del partner e cosa si rischia in concreto per tale illecito
Talvolta la curiosità e la voglia di spiare qualcuno può prendere il sopravvento, magari per avere conferme o smentite circa la fiducia da dargli o togliergli: pensiamo al caso tipico della vita di coppia, in uno dei due segretamente cerca di controllare l’altro o l’altra e di spiarne le conversazioni e leggere le chat di Whatsapp oppure social ed e-mail, violandone però la sfera di riservatezza. Vediamo allora quando la legge sancisce che questo tipo di condotta integra reato e cosa quindi si rischia.
Leggere chat whatsapp e social: quando è reato e quando non lo è
La regola generale, in materia di segretezza della corrispondenza, è quella contenuta nell’art. 15 della Costituzione: “La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili”. Insomma, leggere la posta altrui configura un reato penale, sia perché viola la privacy, sia perché è violata la segretezza delle comunicazioni private. E tale regola può essere certamente estesa alla posta elettronica ed a tutte le comunicazioni e conversazioni via chat e social.
Insomma, ci sono profili penalmente rilevanti, come quello della violazione della riservatezza altrui, ma anche quello più specifico ed inerente al reato di accesso abusivo a sistema informatico, previsto dall’art. 615 ter del Codice Penale (che prevede la pena della reclusione per più anni), e già richiamato dalla Cassazione per i casi di accesso a contenuti altrui, onde leggere le chat Whatsapp.
Si potrebbe pensare che, per un più efficace esercizio del diritto di difesa in giudizio, potrebbe essere opportuno o utile servirsi di accessi “abusivi” o nascosti a conversazioni e dati informatici altrui, ad esempio della moglie o del dipendente sospettato di attività di spionaggio industriale.
Tuttavia, la Corte di Cassazione ha sancito che, in tali circostanze, non è possibile avvalorare e dare più forza alla propria tesi ed alle proprie accuse in giudizio, servendosi di “interferenze” nella vita privata altrui e nelle sue comunicazioni online. Specialmente se ciò avviene attraverso l’utilizzo di specifici software o applicazioni informatiche per lo spionaggio di chat Whatsapp altrui, i quali – oltre ad esporre il proprio cellulare a virus e contenuti dannosi, danno luogo ad un reato penale.
È preferibile ribadire che la violazione della privacy in esame vale per ogni tipo di comunicazione tecnologica: e-mail, chat Whatsapp e social e ogni altro tipo di corrispondenza elettronica.
La giurisprudenza che non condanna l’intrusione informatica
Tuttavia una giurisprudenza abbastanza recente, del Tribunale di Torino, ma soprattutto di quello di Roma (quest’ultima risalente a qualche mese fa), sostiene una tesi parzialmente differente. Secondo questi giudici, infatti, non è reato leggere la chat whatsapp altrui che magari è rimasta visibile sul cellulare lasciato appoggiato sul tavolo del salotto. Si tratta cioè di tutti quei casi di coppie sposate o di conviventi more uxorio, i quali – vivendo sotto lo stesso tetto – debbono ovviamente condividere gli stessi spazi, con una conseguente limitazione reciproca del diritto alla privacy e riservatezza, anche nelle comunicazioni online.
In altre parole, spiare in modo casuale e non premeditato, la chat Whatsapp o via social del convivente, marito o moglie, non comporta – secondo questi giudici – una condotta punibile legalmente. Ma è chiaro che tra gli obblighi della coppia c’è anche quello di fedeltà. Pertanto, secondo tale tesi, se è scoperto un tradimento – con questa sorta di spionaggio “legale” – sarà possibile utilizzare le relative prove (ovvero le comunicazioni virtuali) in giudizio, per ottenere la separazione con addebito.
Altrimenti, in caso di ottenimento delle informazioni attraverso specifici software o app di spionaggio, le prove non potranno, in ogni caso, essere ammesse e considerate legittime (saranno insomma ignorate dal giudice). Ciò in quanto il Codice di procedura stabilisce che nessuna prova può essere acquisita in un processo, se formata in modo illecito, per la quale anzi si potrà essere chiamati a risponderne.
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