La proposta di Enrico Letta di abbassare l’età del voto a sedici anni sta suscitando grande dibattito. Cori e striscioni sugli spalti dell’eterna partita italiana Disfattismo United contro Real Immobilismo producono meraviglie. Dato che la proposta arriva subito dopo le manifestazioni per il clima, il centrodestra dice che è un modo per prendere voti da ragazzini inconsapevoli, eppure non è una proposta né bizzarra né nuova.
In Brasile, dal 1988, l’età del voto è stata abbassata a sedici anni. Idem a Malta, nel 2015. Nel Regno Unito, dal 1969 l’età per votare è stata abbassata da 21 a 18, e in Scozia a 16. Lo avevano proposto quei garruli baggei del M5S, lo aveva chiesto il PD di Veltroni, lo aveva chiesto anche Salvini nel 2015 e lo ha ribadito tre giorni fa; a quanto pare la politica ha trovato qualcosa che mette tutti d’accordo.
Di solito non è un buon segno.
Eppure nel 1800 esistevano ufficiali di marina sedicenni che guidavano assalti all’arma bianca e comandavano decine di uomini. A livello anagrafico la differenza tra 16 e 18 sono 732 giorni, poi, se davvero butta male, lo Stato è autorizzato a chiederti di imbracciare un fucile e andare a combattere sul Piave senza alcun addestramento né preparazione. A me gli adolescenti mettono sempre grande tenerezza e simpatia.
Eppure c’è qualcosa che non va.
Innanzitutto, se diamo il voto ai sedicenni lo sfasamento tra base dei votanti e base produttiva aumenta ancora di più. Dopo babypensionati che concionano sul mondo del lavoro, dopo disoccupati ministri del lavoro e ministri della cultura con la terza media, adesso vogliamo che il voto di un ragazzo mantenuto dai genitori valga quanto quello di un operaio di Badoere che mantiene due figli.
Abbiamo già vecchi settantacinquenni incattiviti, emotivi e disinformati che danno voti altrettanto emotivi. Ci manca solo la loro controparte minorenne che è altrettanto mantenuta, altrettanto emotiva e del tutto inconsapevole di realtà quotidiane come burocrazia, lavoro, tasse, salute, immobili, mercato azionario, periferie e via dicendo. Chiede su Yahoo se si può restare incinte con un bacio e vuole decidere chi entra in parlamento.
Votare non è come giocare a calcio.
Se voti devi avere almeno i rudimenti del mondo fuori dall’università. A 16 anni vivi per forza di cose all’oscuro di quei fattori che poi, da adulto, ti fanno maturare indipendentemente dal tuo schieramento politico che spesso si basa su ideologie, semplificazioni, estremismi e conflitti coi genitori. A sedici anni esistono solo il bianco e il nero, il grigio ti infastidisce: eppure è il colore dove spesso abitano quelli che ti mantengono.
Inoltre, se puoi votare allora significa che sei responsabile delle tue azioni.
Quindi puoi andare in prigione tra carcerati quarantenni, ti è possibile andare a letto o prostituirti con chi vuoi, puoi guidare, acquistare alcolici, sigarette e armi da fuoco, ma anche comprare case, macchine ed espatriare. Di tutti i sedicenni che ho conosciuto nella mia adolescenza passata – e nel presente – non me ne viene in mente uno solo per cui sarebbe una buona idea. A sedici anni non capivo niente. Non sapevo niente.
Ma quel che è peggio, credevo di sapere tutto.
Se proprio servono voti per smuovere la situazione, io suggerirei di dare il diritto di voto a gente che viene schiavizzata per tenere in piedi ‘sto paese. Quelli troppo impegnati a sollevare nostro nonno mentre noi andiamo al cinema, o a pagargli la pensione, o a grattare pomodori per venti cent e una frustata. Ma rischia di diventare un discorso più sgradevole su cui divento emotivo io.