La donna che ha contribuito alla mia maturazione umana si chiama Ginger Rogers, una biondina tutto pepe che mi apparve in una serata di pioggia mentre io e Leonora ordinavamo una pizza. Faceva la scema assieme a Cary Grant su Monkey Business e c’era qualcosa, in lei, che mi ricordava mia sorella.
Aveva il suo stesso sarcasmo tagliente, le stesse sopracciglia che si inarcavano, la stessa impacciata eleganza. Monkey business si rivelò un film spassoso e leggero, un tipo di commedia capace di farti sorridere senza bisogno di usare rutti, scorregge e parolacce. Leonora mi chiese di recuperare tutti i suoi film, e io obbedii.
Tutto in inglese, per ragioni di fruibilità.
Vado su Wikipedia, leggo la filmografia e cerco. I DVD scarseggiano, ma ne trovo uno con un titolo bizzarro: Gold diggers of 1933. Ci mettiamo a vederlo la sera mentre le notti milanesi offrono solo nebbia e gelo. Appena parte c’è Ginger coperta d’oro che canta “We’re in the money” e io inorridisco; è un musical.
E io credevo di odiare i musical.
Dick Powell gorgeggiava come un usignuolo irritandomi, ma la commedia era ben costruita, Ned Sparks era grandioso e i dialoghi strabilianti, per uno abituato ai film di oggi. Non mi rendo conto di quello che il regista ci sta facendo e il film scorre. Gold Diggers of 1933 parla di ragazze che cercano di trovare lavoro a Broadway durante la Grande depressione, e nel farlo non disdegnano di spennare riccastri o innamorarsene. Tutto semplice.
Man mano che la trama avanza ho il sorriso stampato sulla faccia per le battute, gli attori, le gag, la bellezza di un lavoro corale che non avevo mai visto. Ginger fa quasi la comparsa, ma non c’importa. È un lavoro solido, raffinato ed eterno tale da lasciarmi allibito. Le coreografie, contando che siamo nel 1933, sono d’avanguardia. Alla fine del terzo atto ce la siamo davvero spassata e crediamo il film sia finito.
Ma non lo è.
Meryn ci ha presi per mano e portati in un campo di pannocchie per ottantacinque minuti tra farfalline e sole, ci ha fatti mettere in ginocchio per gustarci un picnic e stiamo aprendo l’ammazzacaffè quando si alza, tira fuori una pistola e ci spara nella nuca. Gli ultimi cinque minuti di quel film mi hanno cambiato la vita. Mi ricorderò sempre Leonora con la mano davanti alla bocca e gli occhi lucidi e il silenzio che ne è seguito dopo.
Quel film diventa la mia ossessione.
Lo rivedo decine di volte fino a saper recitare le battute a memoria e capire il trucco. Se guardi il finale e basta non funziona. Non capisci, anzi, forse te lo rovini per sempre. Perché ti arrivi il macigno devi venire preparato da musica, attori e battute per 90 minuti a suon di messaggi subliminali o veri e propri inganni, così da arrivare rilassato, divertito, felice e distratto.
Gold diggers, più che un film, è un gioco di prestigio.
È grazie a Ginger Rogers se seguendola per tutti i suoi film poi ho scandagliato il cinema americano e italiano dal 1920 al 1970 a fondo, a volte sforzandomi, altre volte mettendomi le mani nei capelli per la grandiosità di quello che vedevo. Oggi faccio fatica a guardare film anche molto ben confezionati, ma a cui manca tutto ciò che ha portato la gente al cinema negli ultimi cinquant’anni. Se ti sei stancato della solita roba, questa è la sequenza con cui ho cominciato io.