Un’Europa senza gioia va alle urne. Dalla Francia alla Grecia, il voto potrà cambiare qualcosa?
Un’Europa senza gioia va alle urne. Dalla Francia alla Grecia, il voto potrà cambiare qualcosa?
Domenica prossima, 6 maggio, sarà giornata elettorale in molti Paesi europei. Eppure il voto non sembra in grado di produrre, qualche che ne sia l’esito, i cambiamenti necessari al vecchio continente. Tra esecutivi da eleggere ed esecutivi che cadono, l”Europa difficilmente troverà nuova linfa in questo maggio di crisi. Una crisi che ci sembra una e trina: economica, politica e morale. Senza inni alla gioia il vecchio continente s’avvita su sé stesso, al passo marziale d’una prussiana cavalcata wagneriana.
Francia, Grecia, Serbia, Armenia (e Italia, anche se solo per le amministrative) andranno alle urne la prossima domenica. Se qualche cambiamento può venire dalla politica, forse è necessario che passi prima da Parigi, capitale morale del vecchio continente. In Francia si voterà per il secondo turno delle presidenziali, la sfida è tra Sarkozy e Hollande, e per chi la osserva dall’esterno è arduo non vedere in Sarkozy la continuità politica per una Francia allineata alla Germania della quale è socio debole. La Germania che chiede rigidità, ed è facile per lei visto che è l’unica coi conti a posto. La Germania che presta soldi ai Paesi in crisi e ne ricava interessi milionari, lucrando di fatto sul salvataggio della Grecia. La Germania che controlla mezza Europa, dal Baltico alla Croazia, con la Francia imbolsita e l’Italia sciocca a darle spago. La Germania, appunto, che fa risuonare le note del suo trionfo wagneriano nelle cancellerie d’Europa. Un trionfo tragico, mentre in Europa la gioia del celebre inno non si sa più dov’è di casa. Intanto cadono i governi: Olanda, Romania, ma anche Repubblica ceca e Spagna rischiano. Governare, dare stabilità e continuità politica, è sempre più difficile. E quando i governi democratici non stanno più in piedi non è un buon segno.
[ad]Dicevamo come Berlino guadagni dalla crisi ottenendo interessi milionari dai soldi prestati alla Grecia per salvarne, di fatto, il sistema finanziario e non per risollevarne l’economia. Soldi che la Grecia, a colpi di rigidità, dovrà restituire a ogni costo: ad Atene non è concesso fallire, non è concesso uscire dall’euro (ipotesi che in ogni caso porterebbe ad effetti a catena di difficile previsione), non è concesso nemmeno gestire i soldi ricevuti, che la Germania vorrebbe veder confluire su un conto “speciale” su cui il governo greco non possa metter le mani. E in questa Grecia si vota. Ma non cambierà nulla. I partiti sono gli stessi di sempre, gli stessi che hanno condotto il Paese fin dentro la tragedia truccando i conti economici. Le formazioni populiste, di estrema destra o estrema sinistra, che cavalcano il malcontento non saranno certo in grado di dare soluzioni poiché il populismo è destruens, mai costruens. E il futuro governo, qualche sia, sarà ostaggio di queste formazioni politiche date in sicura crescita. Ad Atene, però, sperano nella Russia. L’antieuropeismo greco si traduce in Vladimir Putin, salvatore dell’ellade in nome della comune fede ortodossa, San Giorgio a cavallo che uccide il drago della finanza selvaggia. Pare che il Cremlino sia infatti interessato a fare investimenti nel Paese attraverso il suo braccio energetico, Gazprom.
(per continuare la lettura cliccare su “2”)