Cognac, triple sec, limone e irredenti nel 1920
Il primo novecento è la fine dell’apice occidentale moderno. La ricerca nell’ambito gaudente è altissimo, molto più di quanto non venga ritratto dai film o dalle cronache ufficiali dell’epoca. La cucina russa venera la Francia, ne esporta cuochi e ricette, le rimescola creandone di proprie; noi creiamo alcuni dei liquori che faranno la Storia e che vengono usati tutt’oggi.
L’America, contrariamente alla sua natura, produce cose buone invece di rovinare quelle altrui. È ancora possibile vedere i menu dei banchetti dello zar che faceva a palazzo d’Inverno, anche grazie alle arance che faceva crescere nella sua serra e che stupivano gli invitati.
È in questo periodo che nasce l’insalata russa, detta originariamente insalata Oliver, una ricetta segreta che un cuoco francese preparava nella sua cucina chiusa a chiave che faceva la gioia degli astanti, e che ha poco o niente a che vedere con quella che mangiamo oggi. Gli ufficiali e gli aristocratici russi, prima che i bolscevichi li massacrassero tutti, erano persone di cultura, classe e raffinatezza altissime, tali da suscitare l’invidia dell’Europa.
A Pola, in quel sublime capolavoro del Grand Hotel – oggi ridotto a ostello, ci dormite con 50 euro – nobili e borghesi si giocavano milioni alla roulette mentre volteggiavano nei saloni da ballo. Era un’epoca troppo bella per durare, e la tragedia del Titanic ne fu un presagio azzeccato.
Il cocktail che meglio racconta i sapori, la raffinatezza, gli intrighi e la sensualità è stato inventato nel 1920 a New York, non si sa per certo a causa di chi o perché. Fu un barman, McMahoney, a prendere del cognac e aggiungere del triple sec e il succo di mezzo limone. Lo chiamò Sidecar in onore di quel gabbiotto che all’epoca s’attaccava di fianco alle moto ed era divertente quanto pericoloso.
Era un erede dei primissimi cocktail crusta, cioè con il bordo del bicchiere pucciato nello zucchero, e ancora oggi quel bordino regala al cocktail una potenza e una complessità notevoli. In epoca di gaudenti, libertini e intrecci amorosi, l’affilatissimo Sidecar passò di bocca in bocca e sbarcò in Europa, dove dalla Francia arrivò anche in Italia.
Ma fece anche l’altro giro, passando per Vladivostok.
Nel 1920 c’è una concessione italiana a Tien Tsin, in Cina, dove albergano ufficiali da tutto il mondo e dei prigionieri irredenti, partiti per la Grande Guerra austroungarici e tornati a casa italiani sei anni dopo.
In questo minuscolo sputo d’italianità un ex irredento trentino che a fine 1800 aveva lavorato al Savoy, Guido Micozzi, ebbe la brillante idea di creare un club dove poter bere quei liquori abbandonati dai nobili russi nel porto di Vladivostok, prima di scappare coi piroscafi.
È un italiano, e l’ospitalità italiana ci ha resi grandi nel mondo. Vengono a bere tutti; giapponesi, americani, russi bianchi, pezzi grossi, ambasciatori, intellettuali. Una sera, racconta nel suo diario, in occasione della festa della luna cinese, ricorda con emozione di aver servito un Sidecar all’ufficiale italiano che gli aveva salvato la vita, portandolo via dal campo di concentramento a Kirsanov il 29 dicembre 1918; Cosma Manera.
Non possiamo sapere cosa si prova a bere con un ufficiale dei Carabinieri e una soldatessa russa in un bar a TienTsin dopo che hanno attraversato 10,000 chilometri di guerra civile, truffato gli americani, pestato bolscevichi, rimpatriato 20,000 uomini e guadagnato una katana mentre fuori ci son fuochi artificiali e balli. Cent’anni dopo, potete ancora sentire quel sapore – e quell’atmosfera – in qualunque bar.