Stavo lavando i piatti quando il dito mi s’è incastrato su un rimasuglio di sugo e all’improvviso sono stato colto da una folgorazione: che fine ha fatto il regime di cui tutti parlavano qualche mese fa? Me lo ricordo, era imminente. Lo si sentiva da ogni parte; innumerevoli episodi di razzismo e violenza, palese prodromo alla formazione di milizie in camicia nera. Parate di neofascisti che conquistavano e accerchiavano le città.
Gente che sulla mia pagina dichiarava con lacrime di rabbia (giuro) di togliere il like alla pagina perché mi aveva bollato come filogovernativo, ergo mi avrebbe dovuto fucilare alla schiena entro pochi mesi. Già andavano formandosi liste di proscrizione per giornalisti da deportare, ogni giorno testate autorevolissime avvertivano l’arrivo della dittatura. Il fascistometro ci aveva avvisati, il Papeete era la nuova marcia su Roma, Salvini il DVUCIE redivivo ma più scaltro, più diabolico, più manipolatore.
Mbè? Cos’è successo?
Capirei fosse agosto, quando se hai prenotato l’albergo non c’è minaccia alla sovranità nazionale che tenga. Ma è cambiato tutto senza che nessuno alzasse un dito. Gli immigrati non affogano più, il M5S si è riempito di persone competenti, a Roma tutto sommato non si vive così male e l’80% di editorialisti ed elzeviristi non ha più nulla di cui parlare, sembra il novembre 2011 quando si dimise Berlusconi.
Gli opinionisti d’assalto su Twitter parlano di Temptation island e postano allegre gif di Joker. I party-giani hanno vinto? Salvini e il suo regno delle tenebre sono stati risucchiati nel buco nero di Fortnite? Alcuni giornalisti sono persino andati sulla spiaggia del Papeete come fosse il muro di Dongo, postando selfie e corsivi emozionatissimi: accadde qui.
Lo so, sto facendo lo stronzo.
E lo faccio di proposito, così la prossima volta che un partito eletto dal 17% della popolazione va al governo accodandosi al partito di Candy Candy Forza Napoli, magari lo prendiamo come se fosse una semplice mossa politica in linea con i giochi di palazzo di una Repubblica parlamentare, e non come se una milizia avesse occupato e disarmato comandi dei Carabinieri, caserme, televisioni, parlamento e redazioni nel cuore della notte.
Perché se continuiamo a parlare a iperboli, a estremizzare ogni concetto per attirare l’attenzione, oltre a sembrare degli ignoranti isterici ed emotivi perdiamo la capacità di giudizio, diciamo stronzate clamorose e alla lunga ci screditiamo. Così la volta che ci azzecchiamo, ci ridono dietro. Per farla breve, quando mesi fa dicevo che gridare non è dialogare, parlavo proprio di questo momento qui. Quando stasera due leader di partito si troveranno in televisione per confrontarsi, non per sfidarsi, “asfaltarsi”, “disintegrarsi senza regole”. Per parlare.
Riportiamo le parole a quota trasmissioni, dai.