È noto che la legge di bilancio 2020 conterrà tutta una serie di balzelli più o meno gravosi per cittadini ed imprese italiane. Tra questi, anche la tassa imballaggi, che si inserisce nel più ampio piano di lotta all’utilizzo della plastica e che è prevista nel documento programmatico di bilancio. Vediamo allora come funzionerà, a quanto corrisponderà l’importo e chi sarà tenuto di fatto a pagarla.
Tassa imballaggi: quanto costa, quando scatta e a chi è rivolta
Come appena detto, la tassa imballaggi rientra nel più ampio disegno di tassazione dell’uso della plastica; le finalità sono quelle di tutela dell’ambiente, con un utilizzo di questo materiale che sia ecosostenibile. O almeno, queste sono le intenzioni del Governo, che intende introdurre tale tassa imballaggi di plastica a partire dal 1° giugno 2020, in misura di 1 euro al chilo, per un gettito per il Fisco stimato in 2 miliardi di euro. Insomma, cifre non di poco conto e che servirebbero senza dubbio a trovare le coperture per la manovra finanziaria del paese.
Tale tassa, secondo gli osservatori, si sovrapporrebbe però ad altre imposte e prelievi ambientali che servono già a finanziare raccolta differenziata e riciclo. Il nuovo balzello andrebbe a colpire una vasta platea di destinatari: consumatori (con un inevitabile aumento del costo finale pagato sull’acqua minerale o sulle bevande) e aziende di imbottigliamento, spedizione e trasporti.
Le critiche e l’opinione di Confindustria
Ovviamente, l’ipotesi, assai concreta, della nuova tassa imballaggi ha raccolto le critiche di molte associazioni ed enti, come le organizzazioni del riciclo tra cui il consorzio Corepla, ma anche il sindacato Filctem Cgil, Unionplast e Confindustria. Il rischio palesato è infatti quello di una tassa che andrà a colpire un’ampia gamma di servizi tra cui gli imballaggi in plastica, andando a far lievitare i costi dei prodotti diretti ai consumatori finali, soggetti ovviamente a spedizioni e trasporti.
La critica unanime, oltre a fare riferimento all’aumento spropositato di spesa, guarda anche al fatto che, per questa via, tutti i tipi i plastica sarebbero colpiti dalla nuova imposizione, anche le plastiche “buone”, ovvero derivanti da processi di riciclo (la cosiddetta “economia circolare“). Insomma, si tratterebbe (anche) di una sorta di ingiusta penalizzazione verso chi, in questi anni, si è occupato di riciclo e di metodologie ecosostenibili, per rispettare l’ambiente.
Confindustria, in particolare, non ha usato mezzi termini per valutare l’introduzione della tassa imballaggi: “La misura non ha finalità ambientali, penalizza i prodotti e non i comportamenti, e rappresenta unicamente un’imposizione diretta a recuperare risorse ponendo ingenti costi a carico di consumatori, lavoratori e imprese“; l’ente rappresentativo delle imprese sottolinea la forte contrarietà, aggiungendo che: “le imprese già oggi pagano il contributo ambientale Conai per la raccolta e il riciclo degli imballaggi in plastica per un ammontare di 450 milioni di euro all’anno, dei quali 350 vengono versati ai Comuni per garantire la raccolta differenziata“.
Insomma, cifre considerevoli che – secondo Confindustria – già sono sufficienti per coprire le esigenze e il fabbisogno ambientale. Concludendo, la tassa imballaggi rappresenterebbe, secondo molti osservatori, una vera e propria doppia imposizione, in quanto tale ingiustificata sia sul piano della salvaguardia dell’ambiente, sia sul piano economico e sociale, perché andrebbe a toccare le tasche dei cittadini una seconda volta. Vedremo tuttavia nelle prossime settimane quali saranno i contorni che prenderà, in concreto, questa assai probabile nuova imposta.
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