Una storia di fantasmi, vera
Lo straniero con la giacca di pelle scende alla fermata di Country Sligo, un minuscolo paesino di pescatori in Irlanda, alle 18.28 del 12 giugno 2009. Porta gli occhiali, ha i capelli bianchi e un fisico esile. Arriva allo Sligo city hotel in taxi, alla reception parla con marcato accento tedesco; si chiama Peter Bergmann, ed è residente al numero 15 di Ainstettersn, 4472, Vienna.
Paga la sua camera in anticipo e in contanti. Nei tre giorni successivi, esce di buon’ora con in mano una borsa di plastica viola, ma quando rientra non ce l’ha più.
Il secondo giorno va all’ufficio postale e compra un francobollo da 82 centesimi, poi chiede a un tassista di portarlo nella spiaggia più tranquilla perché vuole farsi una nuotata. Arrivato a Rosses point scende, studia la zona con espressione compiaciuta, ma invece di andare a nuotare rientra in taxi e torna in albergo. Il terzo giorno lascia l’hotel con due valigie e una delle sue buste viola. Quando arriva alla stazione dell’autobus, però, ha solo le valigie. Beve un cappuccino e mangia un panino al prosciutto.
Sligo è una città piccola e una faccia nuova si nota; una coppietta vede lo straniero sulla spiaggia alle 22.30 del 15 giugno. L’alba del giorno dopo, un runner lo trova cadavere.
I problemi iniziano qui
La polizia capisce subito che c’è qualcosa di strano. Lo straniero non ha documenti addosso, ai suoi vestiti e alla sua biancheria è stata rimossa l’etichetta, l’indirizzo che ha dato in albergo è un campo abbandonato e in Austria non esiste nessuno di nome Peter Bergmann. Secondo l’autopsia la causa della morte è annegamento, ma lo straniero aveva anche un cancro alla prostata che aveva lasciato metastasi fino alle ossa. Solo che non aveva antidolorifici o medicinali, in corpo. Prendono le impronte digitali e il DNA, le inviano a tutte le forze di polizia. Non c’è un solo riscontro. Le sue foto vengono pubblicate in tutti i giornali e le televisioni, ma nessuno si fa avanti per dire di conoscerlo.
Non è tutto
La polizia percorre il tragitto, interroga tutti i cittadini, e scopre che lo straniero in quei tre giorni ha meticolosamente evitato le strade o le zone dove c’erano telecamere di sorveglianza.
Ha usato le buste per buttare via tutti i suoi effetti personali. Nessuno sa cosa, dove o a chi ha spedito la lettera che ha affrancato. Ad oggi, nessuno ha idea di chi fosse o da dove venisse quel vecchietto con la giacca di pelle.
Te ne vai in un paesino di pescatori davanti all’oceano, elimini con cura ogni traccia della tua vita e della tua identità, poi quand’è buio cammini piano piano nell’oceano che t’inghiotte. È un gesto di una grandiosità, di un controllo, potenza e volontà che io non ho mai letto in un romanzo. È un atto molto più forte del suicidio, perché oltre a sottrarti alla vita scegli di sottrarti ai vivi.
In un’epoca di egopatia, di Instagram story, dirette Facebook, selfie e stragi in streaming, è una gesto di una poesia enorme. Internet si innamora del personaggio, si spertica in congetture e supposizioni, nascono documentari. Ma è tutto inutile. Se la corrente non avesse riportato il suo corpo a riva, si potrebbe persino mettere in dubbio sia mai esistito uno straniero con la giacca di pelle.