Nelle situazioni – com’è noto – assai diffuse, in cui un debitore non riesce o non vuole far fronte agli obblighi di pagamento verso il creditore, si pone una questione di non poco conto: è obbligatoria la lettera di diffida ovvero di messa in mora nei confronti del debitore, prima dell’avvio dell’azione giudiziale da parte del creditore? Vediamo cosa dice la legge in tema di obbligo diffida e se e quando farla prima del procedimento del decreto ingiuntivo.
Obbligo diffida: il contesto di riferimento
La lettera di diffida o di messa in mora contiene, per sua natura, l’avviso formale con cui è intimato ad una persona di compiere o astenersi dal compiere una determinata azione. Nel caso dei rapporti di credito-debito, in tale avviso, è contenuta l‘intimazione di pagamento, ovvero ad adempiere nei confronti del debitore, entro un congruo termine. Solitamente tale missiva contiene anche l’avvertimento per il quale, in caso di inadempimento, scatta conseguentemente l’azione legale in tribunale per il recupero delle somme.
In materia di obbligo diffida, occorre sottolineare che la messa in mora in esame ha valore legale soltanto se inviata con uno strumento di trasmissione che permette a chi l’ha spedita (il creditore), di poter provare il ricevimento da parte del destinatario. Tale strumento è la raccomandata a/r e, ora, anche la Pec, ovvero la posta elettronica certificata. Le lettere semplici o le telefonate, mirate a risparmiare sui costi, non producono infatti alcun effetto “legale”.
Inoltre, la diffida non può essere generica, ma piuttosto deve indicare con precisione le circostanze e le cause per cui un certo credito è fatto valere. Dovrà perciò richiamare quel documento o atto in cui il diritto del creditore trova fondamento e giustificazione giuridica.
C’è un effettivo obbligo?
In tantissimi casi, in verità, non sussiste un effettivo obbligo diffida per il creditore, ovvero il debitore è già messo in mora, per il solo fatto che non adempia all’obbligazione, entro la data di pagamento prestabilita nel contratto. Le ipotesi sono di fatto svariate: pensiamo al pagamento dei contributi condominiali, di bollette, dei canoni, delle rate ecc. Si tratta insomma di tutti quei casi in cui il contratto abbia stabilito un termine certo, ovvero una data per l’esecuzione della prestazione, di seguito poi non rispettata. Il Codice Civile parla chiaro: all’art. 1219 infatti sancisce che il debitore è automaticamente messo in mora, laddove sussista una data certa di pagamento predeterminata e non osservata. In altre parole, l’inadempimento è manifesto già dopo tale data e senza alcun obbligo diffida.
Altri casi in cui la legge ammette l’esclusione dell’obbligo diffida sono quelli relativi alle obbligazioni di risarcimento dei danni per fatto illecito e quelli in cui il debitore si oppone, in forma scritta, alle richieste del debitore (dando spazio quindi ad una causa civile in tribunale).
In via generale, si può quindi affermare che, in materia di obbligazioni pecuniarie (in cui quindi è in gioco il pagamento di una somma di denaro), l’obbligo diffida (e di lettera di messa in mora) non sussiste. È il superamento del termine di pagamento, fissato nel contratto, a far scattare la messa in mora, in automatico e senza obbligo di diffida.
Quando può servire una diffida?
Chiarita la questione dell’obbligo diffida, a questo punto, però, domandiamoci quando può essere utile inviare comunque una diffida. Essa può aver lo scopo di consentire il calcolo degli interessi di mora, a partire proprio dalla data delle lettera di messa in mora. E può anche aver il vantaggio di sospendere i termini di prescrizione, prima della causa civile effettiva, al fine o di favorire il pagamento spontaneo del debitore, oppure, in caso di debito datato, permettere di dimostrare l’esistenza del diritto, che quindi non decade.
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