Siccome nel tempo libero adoro girovagare nei mercatini e nei siti dell’usato – specie quelli internazionali – negli anni continuavo a imbattermi in strani aggeggi di cui ignoravo l’esistenza o la funzione. È il caso di tantissima argenteria per cui esistono interi forum dove la gente si alambicca il cervello per svelarne luogo, provenienza e funzione, ma anche di molti altri oggetti retaggio di un mondo perduto.
Però bisogna saperli riconoscere.
Pensate alla signora che ha cucinato lo stufato davanti a un quadro di Cimabue per venticinque anni e moltiplicatelo per millemila; negli Stati Uniti e in Inghilterra mi continuavano ad apparire set di porcellana con scritto Tom & Jerry. Alcuni orrendi, altri raffinati, ma comunque tanti.
Per anni ho dato per scontato fossero per i bambini appassionati dei primi cartoni animati e li snobbavo. Poi ho scoperto la loro origine, tanto bella e saporita da essere arrivata anche in Italia negli anni ’80, quando la Milano da bere ci portava il mondo in casa tentando di cosmopolitanizzarci. Il Tom & Jerry è il cocktail autunnale/invernale che risale ai primi del 1800 ed era una specie di incrocio tra cappuccino e sorbetto capace di mettere d’accordo vecchi, adulti e pure gli adolescenti.
Credo abbia le stesse calorie di una fetta di Tiramisù o giù di lì, ma per chi ha voglia di sperimentare qualcosa di meno pesante e più caldo è un gran cocktail; non esistono locali o barman che lo facciano perché la richiesta sarebbe nulla e soprattutto richiede una preparazione precedente, quindi l’unico modo per assaggiarlo è farlo da sé.
Con la scusa di coccolare la fidanzata – per biechi scopi copulatori – ho preso gli ingredienti e mi sono messo al lavoro, scoprendo che è sostanzialmente come fare un dolce. Quando l’ho servito nella tazza da caffelatte Leonora mi ha guardato come fossi deficiente, ma si è ricreduta rapidamente.
Non è un grande classico e non si può nemmeno considerare un drink da uscita, ma in certe sere di fine novembre con fuori la nebbia e il gelo giuro che è una goduria vergognosa, in cui l’alcool si sente a malapena e per questo ti sbronza alla velocità di un Frecciarossa.