Parliamo di ‘sta benedetta blackface e della sua polemica

Pubblicato il 30 Ottobre 2019 alle 18:15 Autore: Nicolò Zuliani

Gli USA hanno partorito questa cosa per cui un bianco che si pittura la faccia di nero per emulare un africano è razzista, mentre non è chiaro se un nero che si pittura la faccia di bianco per emulare un americano lo sia. Del resto negli USA devono ancora decidere se noi italiani siamo bianchi o neri, mentre sui latinoamericani la cosa pende più dalla parte dei neri. Perché questa indignatio dovrebbe riguardare il paese del moro di Venezia? Bè, perché l’Italia ha qualche problema di comunicazione dovuto alla sua età demografica.

Noi europei – e noi italiani, nello specifico – siamo un popolo vecchio, abbiamo idee e convinzioni vecchie e soprattutto siamo reazionari; rifiutiamo il cambiamento come la peste e capiamo le differenze solo se vengono narrate per stereotipi. Fateci caso, in TV gli unici omosessuali accettati in trasmissione sono sullo stile di Platinette o Margioglio, e il motivo lo spiega Boris con il monologo sulla locura, la cerveza, Renè!

“Ci fa sentire la coscienza a posto!”

Sovrapporre il razzismo americano a quello italiano è infattibile per chiunque mastichi un minimo di Storia, dato che noi non abbiamo mai importato schiavi in catene e davamo medaglie d’oro a Unatù Endisciau o a Ibrahim Farag seppellendoli avvolti nel tricolore quando in America giravano col cappuccio a punta. Alcuni Zaptiè – Carabinieri coloniali – dopo aver reso servizio chiesero di essere portati in Italia e una volta qui misero su famiglia senza che nessuno alzasse mezzo sopracciglio, per non parlare dei migliaia di figli illegittimi che gli Alleati ci lasciarono in casa.

Ma a parte la Storia, perché pitturarsi la faccia è un problema?

Perché è una polemica che la gente capisce, bianca o nera che sia. C’è una faccia, c’è della vernice e gente che ci litiga sopra. In base a quello che uno scrive è razzista o meno e sono tutti contenti; dopotutto l’unico modo per far sì che un popolo accetti di farsi tagliare la testa è quello di salvargli la faccia, e questa polemica ne è l’esempio perfetto. Nessuno oggi ha la più pallida idea di cosa stia succedendo con l’integrazione. Né chi parla di accoglienza, né chi parla di respingimenti.

È troppo complicato.
È troppo sbatti andare a cercare quelle storie.

Sappiamo che persone di colore arrivano dall’Africa, ma poi dove vengono messi? Come vengono integrati? Ogni giorno in Italia 28 dei loro bambini svaniscono nel nulla, qualche giornalista o youtuber se ne occupa? No, cazzo, è più importante la blackface, perché la bellaggente ne parlano tuttissimi. Quand’è l’ultima volta che abbiamo sentito parlare di accordo di integrazione? Funziona? Di storie d’integrazione non se vede né sente mezza, perché è una narrativa sgradevole per tutti.

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“Sì sì vabbè ma quando posso gridare razzista a qualcuno?”

Da una parte per quelli che hanno bisogno di gridare “razzisty” 546 volte al giorno. Dall’altra per quelli che hanno bisogno di refreshare la cronaca nera per dargli contro al feroce saladino. Volete una storia d’integrazione? Questa, organizzata da tale Laboratorio 53 di cui nessuno ha mai sentito parlare, eppure FA COSE.

Vediamo ogni giorno per strada disperati che delinquono perché non hanno alternative però hey, li abbiamo accolti. Guardiamo i loro cadaveri galleggiare però hey, su Facebook li abbiamo difesi. Ci facciamo stringere le camicie o senza scandalizzarci di tariffe oscenamente basse, usufruiamo della prostituzione o del lavoro in nero e tiriamo pure sul prezzo, però hey, non siamo razzisti, dopotutto ci indigniamo quando vecchi comici rincoglioniti usano trucchi d’avanspettacolo da primo novecento.

Combattere la blackface è il velo pietoso sulla nostra impotenza

Una sineddoche psicologica per risolvere problemi troppo faticosi, complessi, difficili e che implicano azioni invece di chiacchiere, soldi invece di like, studio invece di grida, ricerca invece di condivisioni. Ci sono episodi di razzismo, in Italia? E io che ne so. Bisogna chiederlo alla gente per strada, di sicuro non a webstar che campano di hatebaiting perché sprovvisti di altri argomenti o contenuti. La signora che ha negato un appartamento a una persona meridionale era razzista. L’idiota che ha rifiutato di farsi visitare da un medico di colore era razzista.

E allora?
Dirlo serve a fargli cambiare idea, a migliorare il paese oppure a farci fare tanti retweet? No, lo sappiamo benissimo e non ce ne frega niente. Se anche lo vai a prendere lui balbetterà scuse e tornerà a pensare le stesse cose tanto quanto prima, solo con più rancore.

Se vuoi far cambiare idea a un razzista lavori fattivamente per far integrare quelli che odia proprio come quelli di Laboratorio 53 e migliaia come loro, ma come ho già detto nell’articolo di Joker, oggi esiste solo quello che sembra, e ciò che non sembra non esiste. Proprio per questa logica, rimuovere la blackface rimuove per magia tutto il razzismo.

Non lo fa davvero, anzi.
Ma sembra lo faccia, quindi nel mondo di Facebook lo fa.

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L'autore: Nicolò Zuliani

Veneziano, vivo a Milano. Ho scritto su Men's Health, GQ.it, Cosmopolitan, The Vision. Mi piacciono le giacche di tweed.
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