Negli ultimi tempi si stanno moltiplicando le voci su prossime novità riguardo alla nota quota 100, ovvero la riforma delle pensioni varata nel precedente Governo Lega-M5s. Secondo alcuni partiti della maggioranza, tale istituto non sarebbe di fatto sostenibile per le finanze statali. Ecco allora che sta prendendo piede una soluzione differente, la cosiddetta “Quota 97”, già peraltro discussa in passato: vediamone i tratti essenziali.
Quota 97: l’attuale contesto di riferimento
Come accennato, il tema pensioni è tornato a generare forti contrasti all’interno dei vari partiti in Parlamento. Se da una parte M5s e Lega (oggi pur su binari differenti), non vogliono che quota 100 sia toccata – in particolare i pentastellati sostengono che le risorse finanziarie per la prossima legge di bilancio 2020 sono già state individuate – dall’altra vi sono partiti come Italia Viva che, invece, ritengono tale tipologia di pensione anticipata sia insostenibile per l’Erario.
Quota 100 – ricordiamolo – permette fino al 31 dicembre 2021 l’uscita dal lavoro a 62 anni di età, a patto che vi siano almeno 38 anni di versamenti contributivi. Si tratta comunque di un triennio di sperimentazione, le cui effettive conseguenze, anche e soprattutto sul piano delle casse dello Stato, ancora non si sanno, o forse si temono.
In questo complesso scenario, che tuttavia potrebbe mutare non poco nelle prossime settimane, si inserisce – come accennato – l’ipotesi quota 97, come rimedio alle iniquità ed imperfezioni di quota 100. Tale pensione consentirebbe di effettuare un intervento non sperimentale, bensì strutturale, permanente e sistemico: in altre parole, quota 97 darebbe la possibilità di uscire dal lavoro con flessibilità e senza limiti di tempo.
Requisiti e funzionamento di questa pensione anticipata
Una proposta di questo tipo, di matrice PD (il principale promotore è Cesare Damiano), se attuata consentirebbe una flessibilità d’uscita ancora maggiore rispetto a quota 100, tuttavia comportando l’alto rischio di forti penalizzazioni, per quanto attiene il calcolo dell’assegno pensionistico. Una sorta di controbilanciamento, insomma, al fine che le casse dell’Erario possano sostenerne l’onere.
Quota 97 sarebbe rivolta, potenzialmente, a tutti i lavoratori iscritti alla totalità delle gestioni previdenziali Inps, senza distinzioni; tale misura, se fosse attuata senza apportare modifiche sostanziali all’idea di base, consentirebbe quindi la pensione anticipata al compimento dei 62 anni di età e almeno 35 anni di contributi. Quota 97 significa appunto la somma dell’età pensionabile e degli anni di contributi versati allo Stato. È necessario però specificare che, in questo scenario, sarebbero pensionabili soltanto i soggetti che integrano ambo i requisiti. Non sarebbe quindi possibile, ad esempio, un pensionamento anticipato di una persona di 61 anni e 36 di contributi, con quota 97.
A questo punto, soffermiamoci sul calcolo effettivo della pensione secondo quota 97. L’ipotesi prevalente sarebbe quella di un “taglio” dell’assegno pensionistico, altrimenti la misura finirebbe per costare di più della stessa quota 100. Insomma, i lavoratori con molti anni di attività alle spalle, per andare in pensione un po’ prima, dovrebbero accettare una decurtazione dell’assegno di pensione. Secondo il progetto originario di quota 97, si tratterebbe di un abbassamento dell’importo della pensione, pari al 2% per ogni anno di anticipo rispetto all’età per la pensione di vecchiaia. Dato che, secondo la legge attuale, l’età per poter ottenere la pensione di vecchiaia è pari a 67 anni, l’interessato potrebbe subire una decurtazione massima del 10%.
Concludendo, la questione pensioni – com’è noto – è tutt’altro che risolta; nelle prossime settimane pertanto vedremo se quota 100 verrà modificata o addirittura eliminata, per far spazio al ritorno della più flessibile, ma meno remunerativa, quota 97.
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