Riccardo Nencini (PS) a TP: “attesa per il congresso PD, ma diamo un’anima alla sinistra riformista
Riccardo Nencini, 49 anni, presidente del Consiglio regionale della Toscana, è dal 2008 segretario del Partito Socialista. L’abbiamo intervistato, ponendogli le domande scelte dalla redazione e proposte da voi lettori.
[ad]Il leader del PS conferma la continuazione del progetto di Sinistra e libertà, ma ammonisce: «dobbiamo cedere ognuno un pezzo di sovranità». Critica l’opposizione di PD e IDV, ma guarda con attenzione al congresso democratico (e alle piattaforme di Franceschini e Bersani). E difende Craxi, di cui dice: «non fu il principale referente politico di Berlusconi».
Segretario, è previsto un passaggio congressuale per deliberare sull’adesione del PS a Sinistra e libertà o sancirne il distacco?
«Il congresso è previsto dopo le elezioni regionali, c’è stato un consiglio nazionale a luglio che si è pronunciato sulla continuazione di questa esperienza. Il congresso poi, nell’estate 2010, deciderà definitivamente».
Come vede i rapporti tra il PS e il resto del centrosinistra?
«Da parte nostra c’è un’attesa forte per capire come si concluderà il congresso del PD, ci sono due linee non dissimili ma neanche uguali tra loro: quella di Franceschini e quella di Bersani».
In realtà i candidati alle primarie sono tre.
«Io sto parlando dei due antagonisti che presumo, non soltanto per ragioni di sondaggio, che si giochino la partita della segreteria, e quindi parlo di Franceschini e di Bersani. Due linee simili ma non uguali, dicevo. Dipende da chi prevarrà; già sappiamo però, ed è un fatto positivo, che entrambi ritengono superato l’isolamento veltroniano».
Lei non esprime auspici sulla vittoria di uno, dell’altro o eventualmente del terzo candidato…
«Assolutamente no. Non mi permetto di entrare nelle vicende interne di un altro partito».
Ha parlato di ‘isolamento’ riferendosi alla scelta di Veltroni del 2008. A posteriori crede che sia stata una scelta giusta quella del PS di correre da solo o sarebbe stato meglio fare come i radicali, presentando candidati dentro le liste del Partito Democratico?
«La nostra è stata una scelta di grandissima dignità, l’ultima scelta identitaria del Partito socialista italiano».
Quindi quella radicale non è stata una scelta degna?
«E’ stata una scelta fatta da un altro partito, che non mi permetto di giudicare».
Qual è il suo giudizio sull’opposizione finora svolta in Parlamento contro il governo Berlusconi?
«L’opposizione riformista si è vista poco ed è stata poco incisiva. Ha avuto molto più effetto, dentro l’elettorato di centrosinistra, l’opposizione di Di Pietro. Ma nessuna delle due ha avuto la forza della D’Addario».
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[ad]Al Parlamento europeo il Pse, seguendo gli auspici del Pd, ha dato vita all’Asde, l’alleanza dei socialisti e dei democratici. E’ una soluzione che la convince?
«Noi abbiamo contrastato questa soluzione, perché non c’era dietro un disegno politico ma soltanto la logica dei numeri. Se avessimo avuto degli eletti al Parlamento europeo avrei proposto loro di fare una domanda: “dov’è la politica? O questo è solo un cambiamento di nome?”».
I vostri eventuali deputati a Strasburgo sarebbero confluiti in questo nuovo soggetto?
«Sì, sarebbero confluiti nel gruppo e avrebbero fatto la domanda che le dicevo».
Lei ha confermato la continuazione del progetto di Sinistra e libertà. Però su molti temi esistono differenze significative tra il Ps e altri componenti come i Verdi. Penso alla politica estera, al giudizio su Tangentopoli…
«Quando si mettono assieme forze politiche che hanno una storia importante alle loro spalle è difficile trovare delle convergenze. E’ necessario fare, sui diversi temi, ciascuno una cessione di sovranità. E’ quello che stiamo provando a fare, tenendo conto che Sinistra e libertà dovrà avere un taglio riformista; diversamente non avrebbe ragione di esistere».
Alla luce del fatto che un progetto del 3%, come Sinistra e libertà, abbia questi problemi di identità non le sembra più comprensibile che analoghe difficoltà viva un soggetto dieci volte più grande, cioè il Pd?
«Più comprensibile sì, ma non lo giustifica. Non giustifica un partito che si è posto l’obiettivo di essere il partito della maggioranza degli italiani; noi abbiamo un obiettivo più modesto».
Che è quello di?
«Alle Europee, era quello di superare lo sbarramento del 4%. Oggi è quello di dare un’anima alla sinistra riformista in Italia».
Dal ‘93 in poi i socialisti italiani hanno sempre vissuto un po’ all’ombra della figura di Craxi. Non crede che sia giunto il momento di fare i conti con questa figura, riconoscendone i meriti politici e i limiti (non solo penali)?
«Sono stato l’ultimo parlamentare europeo che è andato a trovare Bettino Craxi in Tunisia. Non rinnego quella storia, anzi è una bella storia della sinistra italiana e dell’Italia del Novecento. Noi dobbiamo prendere soprattutto un segno, che fu il segno distintivo dell’azione di Craxi: l’innovazione. La sinistra italiana ha bisogno di innovazione, e da lì possiamo prendere gli stimoli giusti».
Resta il fatto che, dopo quasi cento anni di storia, il Psi è morto proprio sotto Craxi.
«Questo getta ombre sul suo operato politico, perché dopo la caduta del Muro di Berlino anche lui commise degli errori. Questo è il punto, che precede Tangentopoli».
L’aspetto giudiziario del percorso di Craxi va ignorato, rimosso, superato? Qual è l’atteggiamento che si deve avere di fronte a una verità accertata giudiziariamente?
«Rimane ancora attiva una domanda, quella che Craxi fece al Parlamento italiano nel ‘92 e nel ‘93. E cioè: quali e quante fossero le responsabilità, e come avvenisse collettivamente il finanziamento ai partiti. Queste sono due domande cui la giustizia italiana ha già dato una risposta, la politica no».
Traducendo: se tutti erano disonesti, se tutti si finanziavano illecitamente, allora nessuno era responsabile.
«Le cito una pagina di un libro dello storico Luciano Cafagna, “La grande slavina”. Cafagna dice: tutto ciò che era stato consentito fino a un certo giorno da un certo giorno in poi venne ritenuto illegale».
In realtà era illegale da molto tempo.
«Sì, ma era stato ritenuto consentito. La domanda è: chi rientra in questo paradosso di Cafagna? Questa è la domanda che fece Craxi al Parlamento nel ‘93 e a cui la politica deve dare una risposta. Se vedo tutte le statistiche europee sul livello di corruzione in Italia, si potrebbe dire che la politica italiana abbia già dato una risposta. Anche dopo Tangentopoli l’Italia resta ai vertici di quelle graduatorie».
Secondo lei, in un certo senso c’è una continuità Craxi-Berlusconi? Dopotutto Craxi fu, per anni, il principale referente politico del Cavaliere.
«Questo non è vero, storicamente non è vero».
Il decreto salva-televisioni del 1985, i 21 miliardi di tangenti per cui Berlusconi fu poi prescritto, Craxi fu persino testimone di nozze del Cavaliere nel 1990. Non proprio uno sconosciuto.
«Berlusconi, per sua stessa ammissione, aveva anche nella Dc dei referenti molto precisi, o nei repubblicani. L’assioma Craxi uguale Berlusconi, se mi permette, è molto elementare. La verità è che quando Berlusconi scende in campo Craxi lo critica, a partire dalle elezioni romane, quando l’uno sosteneva Fini e l’altro Rutelli. E da lì in poi è un crescendo. Che poi ci siano stati buoni rapporti con l’imprenditore è un altro discorso».
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[ad]Quindi lei non crede che ci sia stata, negli anni Ottanta, quantomeno una contiguità di convenienza?
«Vede, a quel tempo c’era chi sosteneva che la tv commerciale non dovesse esserci, e voleva la tv di stato senza telecomando: per esempio il Pci».
La questione forse andrebbe posta in altri termini: non monopolio pubblico contro apertura ai privati, ma monopolio pubblico contro duopolio Rai-Mediaset. Questo, almeno, dice la storia.
«Sì, ma la storia degli inizi. Quando la posta in palio era il diritto di cittadinanza dell’emittenza televisiva privata nel nostro Paese».
Storia degli inizi ma anche cronaca di oggi. E non sono intervenute riforme, per esempio neanche quando il suo partito, segretario, ha avuto responsabilità di governo: dal 1996 al 2001 e dal 2006 al 2008.
«Sa qual è stato l’ultimo ministro socialista? Angelo Piazza, alla Funzione pubblica con D’Alema, dieci anni fa. Nell’ultimo governo Prodi avevamo un sottosegretario e una decina di parlamentari, se ci sono state responsabilità vanno ripartite proporzionalmente con chi aveva dieci o venti volte i nostri deputati. Del resto sono cronaca recente le polemiche nel PD anche sulla mancata legge sul conflitto d’interessi».