Mario Balotelli è stato insultato dagli Hellas Verona, apostrofato con epiteti razzisti, dileggiato con il verso delle scimmie e altre miserie che si qualificano da sole e si ripetono sistematicamente da anni. Interpellato dai giornalisti, Luca Castellini – capo della tifoseria – ha detto che secondo lui Balotelli avrà pure la cittadinanza ma non sarà mai italiano. Si è poi gettato in una chiusura sublime sulla parola “negro” buttandoci dentro pure la commissione Segre perché già che c’era, perché no.
Tutto questo fa schifo?
Certo, infatti è subito un’alzata di scudi da parte di istituzioni, mentre Federico Sboarina, sindaco di Verona, era allo stadio e dice di non avere sentito niente; mi domando il grado di professionalità degli otorini nel veronese, ma non divaghiamo. Quando questa roba capita noto sempre l’assoluta immobilità del meccanismo chiamato “calcio”. Capirei fosse la prima, la seconda, la decima, la centesima volta, ma la reazione è lenta anche per i tempi dell’Italia; ci si indigna, si fanno roboanti dichiarazioni, e poi ci vediamo domenica prossima.
Si chiama ipocrisia economica
Da una parte gli stadi sono infestati di bestie violente che sfogano le loro scelte sbagliate urlando insulti e picchiandosi con altre bestie violente. Dall’altra, chiunque sia responsabile e possa colpirli si guarda bene dal farlo, perché questi animali spendono i due-tre soldi che hanno in quell’ovale magico, facendo fatturare miliardi. Se c’è volontà c’è una soluzione: i tifosi fanno cori razzisti? Bene, dal giorno dopo non vanno più allo stadio. Ma non uno: tutti.
Tribune vuote.
A questo si può aggiungere l’osceno dispendio di mezzi che lo Stato spende per contenerli. Perché dobbiamo mandare i Carabinieri e la polizia a impedirgli di ridurre le città e le stazioni a battaglie medievali? Paghino le associazioni sportive i danni causati a macchine, stazioni e persone. Quando una partita finisce per costarti venti milioni di euro tra danni, personale, feriti, querele, avvocati e risarcimenti, sono certo i cori razzisti scomparirebbero per magia.
Lo stadio non è la Siria.
Puoi controllare chi entra e addirittura farlo sedere sugli spalti con addosso solo una tunica bianca e un numero matricolare, se ti gira. Telecamere ad alta definizione, riconoscimento facciale, ce n’è di tutti i colori. Se non gli sta bene, guarda la partita al bar o a casa. In un mese la qualità del tifo e dei cori raggiungerebbe vette mondiali.
Ma sappiamo che non lo farà mai nessuno, perché tenere questi soggetti lì dentro a sfogare il proprio fallimento urlando contro tizi ricchi che giocano a pallone conviene a tutti. Per chi va allo stadio, perché almeno si sfoga a parole sui ricchi e a coltellate coi propri simili invece che sui passanti. Per chi gestisce il calcio, perché gli fa incassare valanghe di soldi. E persino per i cittadini, a cui non par vero di avere dei falliti violenti lontani dal quartiere e dalle proprie vetrine. Fa parte di quella grande cesta d’offertorio col praticello verde chiamato stadio.