Tre giorni fa è uscita notizia (a metà tra provocazione e realtà) per cui durante il monologo di Seth Meyers, un comico, Netflix avrebbe inserito l’opzione di skippare le battute politiche su Donald Trump. Inaspettatamente, l’idea è piaciuta molto e ne è nato un dibattito oltreoceano che da noi è arrivato appena, ma che mi ha fatto pensare a una fetta di popolazione di cui nessuno parla mai: gli astenuti. Sempre a proposito di verità relative e di bolle d’opinionismo, spesso ci dimentichiamo che lì fuori esiste una corposa mole di persone che non vota, non parla di politica in Internet ed è l’equivalente degli stealth per i radar di sondaggisti e comunicatori.
Eppure esistono, e stanno aumentando.
Hanno iniziato negli anni ’70, dagli anni ’90 sono saliti in verticale; alle elezioni 2008 erano nove milioni di persone, l’anno scorso oltre 10. Sono aumentati di tre milioni e in Italia una percentuale simile non era mai successa prima. Sono 10 milioni di persone (circa il 32% degli aventi diritto) che se votassero potrebbero distruggere qualsiasi pronostico o equilibrio che conosciamo oggi. Il motivo per cui non lo fanno, però, è insondabile. Si può supporre che in questa percentuale gravitino filosofie di centro, destra o sinistra che non si sentono rappresentati da nessun partito.
Ci sono pochissimi studi, al riguardo, perché farli è un lavoro enorme e spesso ingrato. Basarsi sulle opinioni in Internet è più facile e immediato, ma anche più ingannevole. La vittoria di Trump, della Brexit, il referendum del 2016, le elezioni del 2018 sono risultati accolti con stupore non solo dai sondaggisti, ma anche dalla stessa popolazione. Gli inglesi non pensavano la Brexit vincesse, avevano votato “per protesta”. Quando il M5S prese quella percentuale monstre, i miei conoscenti che l’avevano votato erano nella stessa situazione. Si dichiaravano stupiti – evidente refuso – e credevano di essere molti di meno.
Di essere speciali.
La classe politica basa le proprie battaglie sulla voce dei propri elettori, ed è questo che ne sfasa la percezione; chi è estremista grida, fa le barricate e si fa vedere. Chi invece è più moderato detesta l’aggressività e tace, col risultato di trovarsi partiti via via più estremizzati che non lo rappresentano. Ci sono decine di partiti per gli estremisti di destra e sinistra, sempre meno partiti con il centro- davanti. Insomma, i partiti di oggi rappresentano sempre meno elettori.
Chi sono, gli astenuti?
Uno studio raro quanto ben confezionato li divide in tre gruppi: consolidati, infuriati e delusi. I primi non conoscono la politica, gli è indifferente o hanno la vaga sensazione che occuparsene o votare sia irrilevante; buona parte è sotto i 25 anni e quest’atteggiamento ha una forte correlazione con l’uso dei social network, cioé più tempo passano in rete, più si distanziano dalla politica. Quelli over 25 non votano anche per motivi pratici: età, acciacchi fisici, difficoltà di raggiungimento.
Gli infuriati sono quelli più numerosi, e anche i più interessanti. Sono insoddisfatti della loro vita personale sia sociale che lavorativa e di questo incolpano la politica, che reputano sì parte della loro vita, ma la seguono in modo settoriale, cioè si informano solo tramite canali che confermano le loro idee. Non si fidano delle istituzioni e anzi, le vedono come una minaccia. Reputano impossibile le cose cambino, ed è questa la loro chiave di lettura primaria: la sfiducia, o l’assenza di speranza. Spesso rispondono con frasi fatte tipo “è tutto un magna magna”, “sono tutti uguali”, “teatrino del voto” et similia.
I delusi, invece, sono un gruppo interessante. Seguono la politica, ma hanno opinioni più articolate e un giudizio che evolve. Non ragionano per squadre, ma per programmi. Potrebbero votare una volta a sinistra e l’altra a destra in base alle battaglie che promuovono e il loro livello d’interesse è nella metà alta della scala che lo studio propone. In tutti e tre, però, c’è la fortissima sequenza psicologica di ferita-sofferenza-abbandono-paura, quest’ultima a volte sostituita con disorientamento.
A che condizioni tornerebbero a votare?
È questa la parte più interessante e promettente. Dalle risposte che hanno dato, si è vaporizzata quella convinzione utopica al limite dell’idiota per cui un politico incompetente è l’ideale, perché “non sa fare un falso in bilancio”. Un leader politico che porterebbe gli astenuti a votare dovrebbe essere affidabile per “curriculum, coerenza e carattere”. Ovvero dovrebbe avere già dei successi lavorativi o politici alle spalle, dovrebbe mantenersi integro senza fare alleanze di convenienza, e dovrebbe avere carattere, ovvero difendere con forza gli ideali e le richieste della gente che l’ha eletto.
Insomma, lì fuori c’è un montepremi da 10 milioni di voti che non litiga sui social, aspetta che qualcuno passi a prenderlo. Credo sia un fattore da non sottovalutare.