Le chiavi di lettura delle elezioni Spagna: chi ha vinto, chi ha perso?
La Spagna, oggi, è più ingovernabile di ieri. È il primissimo responso dell’ennesima tornata elettorale (la quarta in quattro anni, la seconda nel 2019)
Elezioni Spagna 2019: la Spagna, oggi, è più ingovernabile di ieri. È il primissimo responso dell’ennesima tornata elettorale (la quarta in quattro anni, la seconda del 2019) che lascia il PSOE (Partido Socialista Obrero Español) in prima posizione. Nonostante la vittoria, i socialisti retrocedono in numero di seggi e vedono il calo delle due principali forze politiche potenzialmente alleate: da un lato, i liberali di Ciudadanos cadono in picchiata e perdono 47 seggi (passando da 57 a 10). Dall’altro, andando verso il centrosinistra, Unidas Podemos passa da 42 a 35. Calo molto meno significativo rispetto a quello di C’s ma comunque importante ai fini del raggiungimento del “magic number”.
Elezioni Spagna: le chiavi di lettura
Elezioni Spagna, chi ha vinto e chi ha perso? È la domanda per eccellenza che ci si pone dopo qualsiasi tornata elettorale in un sistema parlamentare.
Si potrebbe dire che, per una questione puramente aritmetica, abbia vinto il PSOE: i socialisti ottengono 120 seggi e si confermano prima forza politica del Paese. Tuttavia, il leader del PSOE nonché premier in carica, Pedro Sánchez, ha portato nuovamente la Spagna alle urne confidando in un miglioramento dei risultati di aprile. E ciò non è avvenuto, anzi. Il PSOE perde 4 seggi (passa da 124 a 120) e si trova di fronte uno scenario ancor più complicato rispetto a quello disegnato dalla tornata del 28 aprile 2019. Insomma, una vittoria a metà: Sánchez conferma il primato e sarà il candidato alla presidenza, ma il piano originale era ben diverso.
Chi mostra la maggior crescita, in termini sia di voti assoluti che di seggi conseguiti, è il partito ultranazionalista Vox. La formazione guidata da Santiago Abascal – e appoggiata, in Italia, da Matteo Salvini – passa 2,7 milioni di voti a 3,6: un forte incremento che si traduce in un +5% rispetto all’ultima tornata elettorale (dal 10,26% al 15,09%) e, in particolare, al raddoppio (e oltre) dei seggi. Vox passa da 24 a 52 deputati e scavalca sia Ciudadanos che Unidas Podemos: diventa così la terza forza politica del Paese. Il vero vincitore di queste elezioni – stando ai numeri e all’analisi degli esperti – è proprio Vox.
Se è difficile trovare un vero vincitore tra PSOE (per i numeri reali) e PP e Vox (per la tendenza), è impossibile non identificare il gran sconfitto di queste elezioni: Ciudadanos di Albert Rivera. Il partito liberale cade a strapiombo e perde 47 seggi su 57. Una debacle mai vista, finora, nella storia democratica spagnola. Ciudadanos paga lo stiramento ideologico e l’incapacità di collocarsi in uno spazio ben definito. Nel dibattito elettorale tra i leader dei cinque partiti maggiori, Rivera affermò fin dall’inizio che avrebbe fatto di tutto per sbloccare lo stallo. Tradotto: offriamo l’astensione al PSOE. Una scelta che non ha pagato, visto che C’s ha perso larga parte del voto di centrodestra, che ha trovato rifugiato tra i popolari (PP) e Vox. Dall’essere il nuovo referente della destra iberica, Ciudadanos è diventato un partito marginale di centro. A causa del pessimo risultato elettorale, il leader dei naranjas, Albert Rivera, ha rassegnato le dimissioni.
Coloro che non escono né vincitori né sconfitti da questa competizione elettorale sono Unidas Podemos e il Partido Popular. La coalizione di sinistra guidata da Pablo Iglesias regge abbastanza bene e perde 7 seggi sui 42 conquistati il 28 aprile. UP pagava anche la scissione operata dall’ex numero 2 di Podemos, Íñigo Errejón, il quale entra in Parlamento con appena 3 rappresentanti. Il Partido Popular di Pablo Casado risale la china e si avvicina al PSOE, passando da 66 a 88 seggi. Risultato positivo ma comunque inferiore rispetto alle aspettative iniziali (che vedevano il PP sfiorare la tripla cifra). L’incremento dei popolari, inoltre, è stato messo in ombra dall’auge di Vox, che torna così prepotentemente al centro dell’attenzione mediatica.
Che accordi per evitare l’ennesima ripetizione elettorale?
Se trovare la quadratura del cerchio nello scenario post-elettorale del 28 aprile era alquanto complicato, adesso (dopo il 10N) il rebus si fa ancora più intricato. La perdita di peso del possibile blocco di centrosinistra (che perde nel complesso 6 deputati) e il tracollo di C’s costringe il PSOE a trovare un accordo d’astensione con i popolari – i quali sembrano decisamente poco propensi a concedere le chiavi della Moncloa ai socialisti – o, altresì, trovare una quadratura con Unidas Podemos, +País, alcune forze minori territoriali (come il PNG e “Teruel Existe”) e quelle nazionaliste (EH Bildu, PNV e, forse, Esquerra Republicana). Una situazione complessa che costringe Pedro Sánchez a negoziare. Il leader socialista è tentato dal governare e sembra non voler concedere alcun incarico governativo ai possibili alleati di sinistra. Così, nel suo primo intervento post-elettorale, Sánchez ha chiesto “responsabilità” a tutte le altre forze politiche, senza incidere in quello che veniva definito l’alleato preferente: Unidas Podemos. Pablo Iglesias, ieri notte, ha teso nuovamente la mano a Pedro Sánchez, assicurando che “se per aprile si trattava di una opportunità storica, adesso è una necessità storica trovare l’accordo, per evitare l’auge dell’estrema destra rappresentata da Vox”.
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Elezioni Spagna: temi chiave del 10N
Elezioni Spagna: quali sono stati i temi che hanno inciso di più per la scelta del voto in questo 10 novembre?
Sicuramente la questione catalana è stata al centro del focus mediatico e politico: mentre la destra auspicava un intervento più duro e diretto contro le forze secessioniste, Pedro Sánchez invocava un’azione a cavallo tra quella giuridica e quella politica. Podemos è l’unico partito che si è espresso a favore di una soluzione unicamente politica.
Pesa molto anche il bloqueo: l’impasse politica vissuta ormai da quasi un anno nel paese iberico. Ciudadanos ha pagato lo scotto di essersi pronunciato a favore di un’astensione per accelerare la formazione di un governo. Una presa di posizione legittima ma che ha tagliato le gambe al partito di Rivera, ricollocandolo al centro dello scacchiere politico e perdendo quella forza a destra di cui godeva nei giorni successivi alla tornata elettorale del 28A.
Gli altri temi socio-economici (lavoro, sanità, transizione ecologica, tema abitazionale) hanno avuto un impatto mediatico sicuramente più limitato, a causa dell’onnipresenza del tema catalano in tutti i mezzi di comunicazione. Negli ultimi giorni di campagna è entrata in agenda la questione sicurezza legata all’immigrazione, lanciata da Vox. Non è possibile sapere con certezza il peso di questo argomento (il tema migratorio ha un’importanza decisamente inferiore rispetto all’Italia) ma sicuramente avrà potuto spostare qualche voto nell’ultima settimana di campagna.
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