A guardare indietro vedo droga e voglia di vincere
Una grande rivelazione nella mia vita è stata quando, in piena fame chimica, comprammo una confezione di Tegolini e rimanemmo stupiti dal sapore sciapo rispetto a quello che ricordavamo: «Oh deficienti, è perché vi siete bruciati papille e sinapsi con la vodka al limone e le sigarette di Chernobyl» disse Ario, e quella frase mi è rimasta dentro a mò di guida.
Non è il passato che è bello, sei tu che sei diventato brutto.
La vita ti ha scarnificato un pezzo dopo l’altro e ora assapori le cose con una predisposizione diversa: quanto costa, quanto ti dovrai massacrare in palestra per pagarla, quanto c’è da fidarsi della freschezza degli ingredienti, quanto puoi indugiare nei latticini prima di una deflagrazione.
È per questo che non ho mai rimpianto il Soldino, la Biricca o il tortino alla mela. Se anche li rifacessero con gli stessi valori nutrizionali diabete friendly del 1980, non li sentirei così buoni. Siamo un paese malato di nostalgia, ma il termine corretto è malinconia; stringi stringi, ci manca l’innocenza di quando era nostra madre a prendere qualsiasi decisione rilevante e noi potevamo mangiare sassi felici. Dopotutto, se una cosa era sbagliata o pericolosa, qualcuno ci avrebbe impedito di farla.
Poi da adolescenti abbiamo scoperto la libertà e siamo andati a vedere fino a dove potevamo arrivare. Ah, magiche serate di droga e idee della madonna. C’è stata l’era del cinghiale bianco, l’anno del Drago e il nostro era il mese del bong col Gatorade. Siamo morti a decine e ogni funerale era un prequel di Zoolander, con noi che disperati e seri imparavamo che “solo perché abbiamo addominali scolpiti e l’età mentale di un iguana non è che non possiamo morire provando a fabbricare una bomba in garage, siamo adolescenti, mica immortali”.
Ma c’è una cosa che era oggettivamente migliore
Ed era la sala giochi. L’unico posto al mondo dove uomini di 40, 30, 20 e 13 si trovavano davanti a un gioco e così facendo imparavano a conoscersi, a rispettarsi per la loro abilità, addirittura a farsi forza l’un l’altro e solidarizzare al punto da dare i propri soldi. Al Pool&Company dietro a Luca che giocava a House of the dead c’era mezza Mestre. Quando arrivò allo schema finale facevamo la spola con il bancone per cambiare soldi da trasformare in gettone. Eravamo io di 16 anni, Gufo che ne aveva 32, Ario che ne aveva 20. C’erano tutti i ceti sociali, provenienze ed età, c’erano anche litigate e scazzottate, ma anche enormi dibattiti. Era normale parlare ai tavolini bevendo quello schifo di tè alla pesca e fumando sigarette. Ascoltavi storie, facevi domande.
L’età (o il reddito) non costituiva un muro insormontabile come oggi.
Questo ci ha fatti maturare in fretta rendendoci “sgamati”, e quando tornavo a scuola i miei coetanei sembravano dei bambinetti scemi. Non erano curiosi, vivevano in una bolla infantile in cui sì, non gli saltavano i denti per un calcio, ma restavano fermi nel periodo in cui più hai bisogno di muoverti, fare esperienze, avere stimoli.
La sola cosa simile l’ho trovata anni dopo in un forum, quando Internet era una terra di pochi privilegiati avanguardisti; io per primo ci sono finito perché c’era la protezione civile. Forse era addirittura più difficile: nei forum non conta l’aspetto, la stazza o la fisicità, solo quello che sei capace di dire e come lo dici. Alla fine, la mia formazione viene da una sala giochi, da una banda di sfaccendati e da un forum di gente che si diffamava online.
Rimpiangiamo il passato perché ci sentivamo al sicuro, ma siamo diventati adulti perché al sicuro non eravamo. Anche qui, è la percezione di una situazione a renderla formativa o distruttiva.
E farò bene a ricordarmi questa roba, quando sarò padre.
Spero di farlo, almeno.