Nel linguaggio giornalistico con il quale sono raccontati i fatti di cronaca giudiziaria, spesso è utilizzata l’espressione “archiviazione processo“, senza però chiarire con precisione in che cosa consiste e quali effetti produce per l’imputato. Vediamo allora di seguito di fare chiarezza sull’argomento e di capire quando il giudice la pronuncia.
Archiviazione processo: cos’è e chi la richiede
L’archiviazione del processo è un concetto appartenente ai processi penali, ambito in cui si confrontano – fondamentalmente – la tesi del pubblico ministero o PM, ovvero il soggetto deputato a sostenere l’azione penale in giudizio, e la tesi dell’avvocato difensore dell’imputato. Non sempre, tuttavia, il PM è obbligato a sostenere una linea accusatoria verso colui che è sotto processo penale.
Infatti, può succedere che si renda conto che non sussistono efficaci elementi o indizi di colpevolezza: in queste circostanze, diventa assai probabile che egli faccia domanda di archiviazione, nei confronti del giudice penale. In altre parole, l’archiviazione processo scatta laddove ci si renda conto che l’imputato è, con tutta probabilità, innocente e pertanto non è opportuno continuare il processo a suo carico. Ma che cos’è formalmente l’archiviazione processo?
Essa altro non è che la richiesta che il pubblico ministero rivolge al giudice penale competente a decidere la controversia, al fine di far sì che quest’ultimo archivi il procedimento, in altre parole lo cancelli dalle pratiche da smaltire. Laddove il giudice – cui spetta ovviamente l’ultima parola – accetti la proposta, dispone l’archiviazione processo con decreto, e restituisce gli atti al PM per la materiale archiviazione degli stessi. Tuttavia, se la persona offesa dal reato si oppone alla possibile archiviazione, il giudice potrà prendere una decisione, esclusivamente a seguito di contraddittorio delle parti, e con un diverso tipo di provvedimento, l’ordinanza.
Quando scatta?
La legge penale chiarisce quando il PM deve chiedere l’archiviazione: è infatti un obbligo, non una possibilità. In estrema sintesi, tale magistrato la domanda quando dalle indagini preliminari, ultimate dalla polizia giudiziaria entro un termine ben preciso, non sono stati raccolti elementi degni di sostenere l’azione penale nel processo. Le indagini preliminari sono compiute entro sei mesi (termine allungabile fino a 18 mesi) dall’iscrizione del nome dell’indagato nel cosiddetto “registro degli indagati”.
Entro questo termine il PM dovrà optare obbligatoriamente per una delle due seguenti vie: richiesta di archiviazione processo in assenza di elementi validi di accusa (sarà egli stesso a valutare lo spessore del materiale raccolto dalla polizia giudiziaria); oppure rinvio a giudizio, laddove si convinca dell’utilità di quanto emerso nelle indagini, al fine di sostenere l’azione penale nel prosieguo dell’iter giudiziario. Insomma, il pubblico ministero domanderà l’archiviazione processo quando si renderà conto che la notizia di reato è di fatto infondata o non è stato possibile individuare il responsabile (perché, ad esempio, fuggito all’estero).
Come detto, è la legge a stabilire tassativamente quando scatta la richiesta archiviazione processo. Infatti, il Codice di Procedura Penale impone l’archiviazione, non soltanto nell’ipotesi di assenza di validi elementi di accusa, ma anche in caso di mancanza di una condizione di procedibilità (ad es. querela della persona offesa), prescrizione del reato, depenalizzazione della condotta a seguito di nuova legge ed anche in caso di particolare tenuità del fatto, tale non implicare una possibile condanna penale.
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