A tutti può capitare di avere a che fare con soldi falsi, ovvero monete e banconote non autentiche e, pertanto, inidonee ad essere utilizzate come strumento di pagamento per qualche compravendita. Ecco allora che emergono gravità e rischi della possibilità di pagamento con soldi falsi. Vediamo di seguito quali sanzioni e condanne sono in gioco e a cosa è caldamente consigliato fare attenzione, per non incappare in guai con la giustizia.
Pagamento con soldi falsi: un’eventualità tutt’altro che remota
Oggigiorno i casi di truffa attraverso pagamento con soldi falsi sono quanto mai diffusi: basta sfogliare le pagine dei quotidiani per rendersene conto. Il pagamento con soldi falsi integra un’ipotesi di contraffazione, ovvero di falsificazione tramite imitazione di un prodotto, attraverso la replica non autorizzata del prodotto originale (in questo caso banconote o monete). È chiaro che la contraffazione è mirata ad ottenere un ingiusto e truffaldino vantaggio economico ai danni della vittima. Pensiamo, ad esempio, ai tantissimi negozianti che – magari per la disattenzione di un momento o per la presenza di molti clienti nel locale commerciale, si fanno ingannare da un pagamento con soldi falsi. La legge però, in queste circostanze, non sta di certo a guardare e prevede regole ad hoc. Pertanto, che cosa rischia chi dà una banconota falsa e contraffatta a un negoziante in buona fede o, al contrario, consapevole del falso? Vediamolo.
I rischi del pagamento con contante contraffatto
A questo punto, cerchiamo di capire quali sono i rischi nel caso ci si imbatta in soldi falsi. Preliminarmente, chiariamo che la mera circostanza di avere in borsa o a casa 10 o 500 euro false, non comporta reato. Certo, in sè quelle banconote non hanno valore legale e quindi strapparle e buttarle è la scelta più opportuna. Ciò che il legislatore punisce è piuttosto l’utilizzo ovvero il pagamento con soldi falsi, nella piena consapevolezza della contraffazione. Chi, invece, effettua una compravendita con soldi di cui ignora la falsità, non subisce sanzioni penali, essendo di fatto innocente (manca il dolo). È determinante, infatti, la buona fede al momento del pagamento: chi senza saperlo, riceve denaro falso e poi, con la stessa inconsapevolezza, lo spende, non rischia nè sanzioni amministrative, nè tanto meno penali.
Situazione ben diversa, in caso di consapevolezza o dolo. In queste circostanze possono aversi due ipotesi rilevanti penalmente:
- quella più grave, attiene alla condotta di chi, in assoluta mala fede e quindi con l’intento di ingannare, crea o si fa dare banconote false allo scopo di spacciarle e di effettuare quindi pagamento con soldi falsi. In questi casi, il Codice Penale (agli artt. 453-455) prevede punizioni molto dure, con multe che possono superare i 3.000 euro e un periodo di reclusione anche fino a 12 anni. D’altra parte la finalità è chiara: il legislatore ha inteso proteggere la certezza e l’affidabilità del traffico del denaro autentico tra privati.
- quella meno grave riguarda invece il comportamento di chi, senza saperlo, subisce un pagamento con soldi falsi e, in un secondo tempo, se ne rende conto. Qualora, invece di strappare e buttare il denaro, lo usa per far ricadere su altri la propria perdita, sarà soggetto anch’esso a sanzioni penali – ma meno pesanti di quelle viste nel caso precedente. Si tratta, infatti, di un reato sanzionato con la prigione fino a sei mesi o la multa anche oltre i 1.000 euro.
Come capire se c’è volontà di truffare
Com’è ormai evidente, è la consapevolezza che fa scattare una responsabilità di tipo penale. Il punto è come dimostrare o acclarare tale consapevolezza di effettuare un pagamento con soldi falsi. Anche in queste circostanze, laddove non arriva la legge, arriva la giurisprudenza, in particolare quella della Cassazione. Infatti, la Suprema Corte, nelle varie sentenze che affrontano questo diffuso reato, ha segnalato alcuni criteri che fungono da “spia” per capire se il pagamento con soldi falsi è avvenuto dolosamente oppure no. Si tratta di criteri che tengono conto del comportamento e dei gesti concreti ed oggettivi compiuti dal pagatore. Per esempio, è stato riconosciuto indice di buona fede, il fatto che la persona non si sia rifiutata di essere identificata per controlli dell’autorità, fornendo anche prontamente un documento di riconoscimento. Viceversa, sempre secondo la Cassazione, avere in tasca più banconote di grosso taglio tutte contraffatte, potrebbe stare ad indicare – specialmente se in concorso con altri indizi – la volontà di truffare, ovvero la malafede del pagatore.
Segui Termometro Politico su Google News
Scrivici a redazione@termometropolitico.it