Si tratta di una questione etica, prima ancora dei suoi risvolti rilevanti per il diritto. Stiamo parlando del suicidio assistito e dell’obiezione di coscienza del medico, ovvero temi quanto mai discussi e dibattuti negli ultimi tempi, e su cui anche la Corte Costituzionale ha avuto modo di intervenire con una sentenza specifica sul correlato tema dell’eutanasia e fine vita. Vediamo allora di fare il punto della situazione sul suicidio assistito e obiezione di coscienza del medico: ecco cosa sono e come funzionano.
Suicidio assistito e obiezione di coscienza del medico: il contesto di riferimento
Cerchiamo di fare luce sui concetti spesso richiamati nelle notizie di cronaca, ma non sempre spiegati compiutamente, relativi al suicidio assistito e all’obiezione di coscienza. Che cosa sono?
Con la prima espressione, si intende in pratica quell’aiuto di tipo amministrativo e soprattutto medico, nei confronti del soggetto che abbia scelto – in via assolutamente autonoma – di morire tramite suicidio. Ed è proprio questo ultimo elemento che lo differenzia dall’eutanasia: il suicidio assistito infatti comporta sempre che l’atto finale di provocare la propria morte, sia compiuto dal soggetto stesso e non dal medico o da qualsiasi altra persona; l’eutanasia, invece, per sua natura comporta che un soggetto terzo causi intenzionalmente e nel rispetto della sua volontà, la morte di una persona affetta da malattia molto grave.
Il suicidio assistito, piuttosto, implica un differente tipo di assistenza, come il ricovero, la preparazione delle sostanze letali e la gestione tecnica e legale a seguito del decesso. Chiarita la differenza suddetta, ecco allora il rilievo della cosiddetta “obiezione di coscienza” da parte del medico.
Essa, in via generale, altro non è che il rifiuto che un soggetto manifesta, riguardo all’osservanza ed all’applicazione di una norma giuridica, correlata ad aspetti etici che la possono far ritenere come “ingiusta” o comunque non meritevole di applicazione. Insomma l’obiezione di coscienza scatta laddove un soggetto – ad esempio un medico – ritenga il valore etico ovvero la percezione della coscienza, un bene superiore e prevalente rispetto al dettato – anche contrastante – della legge dello Stato.
Dal punto di vista strettamente medico, l’obiezione di coscienza trova il suo fondamento nel principio dell’integrità deontologica delle professioni mediche e sanitarie, secondo il quale, in tutti i casi in cui il paziente domandi al dottore una o più azioni contrastanti con la sua coscienza o senso etico, quest’ultimo potrà validamente esercitare il diritto-dovere di trasferire il paziente ad un medico differente, in modo da non dover decidere con la propria volontà sulla vita del paziente. In altre parole, la volontà del malato non può prevalere, in nessun caso, sull’operatore medico, costringendolo ad azioni, da lui considerate lesive della vita umana.
Il punto della Consulta: l’apertura all’obiezione di coscienza
Come accennato, la Corte Costituzionale è intervenuta recentemente sul tema del fine vita e suicidio assistito, con un importante provvedimento. Il suo intervento è stato quanto mai utile, in mancanza di una legge in materia e di una volontà del Parlamento di muoversi finalmente con un’iniziativa ad hoc.
In tale sentenza della Consulta, si rintracciano due direttive significative: da una parte, ha fatto un’apertura sostanziale alla possibilità dell’eutanasia e del suicidio assistito, dichiarando incostituzionale il reato di istigazione e suicidio assistito; dall’altra parte, ha però posto delle linee guida, per definire l’autonomo “percorso” che porta il paziente alla morte come scelta di sua spontanea volontà. In particolare, il dottore, in tali circostanze, si adeguerà – se vorrà – alla decisione del paziente e far sì che si compia: non con trattamenti che avvicinano il decesso, bensì con l’interruzione dei trattamenti che rallentano il passaggio a miglior vita. Ma c’è un importante dettaglio pratico da tenere in considerazione.
Infatti, la Corte ha altresì aperto all’obiezione di coscienza: il medico potrà validamente rifiutarsi di assistere colui che intende servirsi delle pratiche dell’eutanasia o del suicidio assistito, pur ammesse dalla Consulta. In altre parole, nessun medico è obbligato a dare un “aiuto”, di così delicata configurazione etica. Determinanti e chiarificatrici sono le parole usate dai giudici della Corte Costituzionale nel recente provvedimento: “Resta affidato alla coscienza del singolo medico scegliere se prestarsi o no a esaudire la richiesta del malato“. Vedremo se in futuro, quanto sancito da questo giudice sul suicidio assistito, sarà finalmente integrato da una normativa ad hoc.
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