Novità in tema di utilizzo di burqa, ovvero il velo indossato come indumento dalle donne di religione islamica. Infatti, recentemente è stata emanata una sentenza sul tema, da parte della Corte di Appello di Milano, con la quale è stato confermato il burqa vietato. Vediamo in sintesi cosa dice e perché merita di essere conosciuta.
Burqa vietato: la decisione della Corte e i dettagli della vicenda
Si tratta di un nuovo capitolo della questione relativa alla compatibilità di alcuni usi e tradizioni – anche religiose – rispetto a quelle che sono le regole di comportamento in ambienti pubblici, di paesi differenti da quelli tipicamente islamici. Ed infatti, la Corte di Appello di Milano si è pronunciata dichiarando la legittimità della delibera regionale, la quale sancisce il burqa vietato, a seguito dell’accesso negli ospedali pubblici.
In base a quanto emerge dal testo della sentenza, la motivazione del divieto confermato è da rintracciarsi in ragioni di sicurezza, collegata ai fatti di terrorismo che hanno purtroppo colpito ripetutamente l’Europa negli ultimi anni. Appare doveroso ricordare che, in verità, la Corte di Appello di Milano non solo conferma il burqa vietato, ma anche il divieto per il niqab, ovvero il velo che copre per intero il corpo della donna.
Nel merito, si tratta della conferma della sentenza del giudice di primo grado, e del respingimento delle richieste manifestate in appello da associazioni come l’ASGI (Associazione degli Studi Giuridici sull’Immigrazione) o il NAGA (Associazione Volontaria di Assistenza Socio sanitaria e per i Diritti di Cittadini stranieri), le quali avevano domandato la revoca di una delibera regionale del 2015, adottata da Regione Lombardia, riguardante anche il burqa vietato.
Tale delibera aveva infatti sancito – per i suddetti motivi di sicurezza – l’obbligo per le strutture ospedaliere lombarde e per altre strutture pubbliche, di utilizzare cartelli indicanti il divieto di ingresso con oggetti o indumenti in grado di nascondere l’identità del possessore, come caschi, passamontagna ed, appunto, burqa vietato e niqad. Le ragioni alla base delle richieste di revoca erano legate ad una paventata componente discriminatoria nei confronti dei praticanti la religione islamica. Tesi però, di fatto, non accolta neanche dal giudice di Appello
Infatti, il giudice di secondo grado ha affermato – in sintesi – che le ragioni di sicurezza e di lotta alla minaccia terroristica sono sufficienti a non poter considerare discriminatoria la delibera burqa vietato in oggetto. Anzi tale delibera ha come suo fine principale il mero riconoscimento ed individuazione dei soggetti che entrano ed escono dai pubblici ospedali e altri luoghi pubblici.
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Gli elementi decisivi per la sentenza di appello
In effetti, secondo il ragionamento della Corte di Appello, appaiono corroborare la tesi dell’assenza di discriminazione, le parole utilizzate nel cartello esposto: “Per ragioni di sicurezza è vietato l’ingresso con volto coperto“. Espressione che si riferisce a tutta la collettività, e non solo a determinate etnie o religioni. Inoltre, il testo della delibera burqa vietato impugnata aveva chiaramente richiamato i fatti di terrorismo che hanno colpito la Francia negli ultimi anni.
Non solo. Non può non aver avuto influenza – nella decisione della Corte di Appello – l’art 9 della CEDU (Convenzione Europea Diritti dell’Uomo), la quale include la possibilità di restringere la libertà religiosa (anche con niqad o burqa vietato) se si deve garantire la sicurezza pubblica.
Anzi, il giudice di appello conclude che la delibera sul in oggetto si adegua a quanto stabilito dalla cosiddetta legge “Reale”, ovvero la n. 152 del 1975, la quale ancora oggi è un punto di riferimento per tutto quanto attiene alla questione sicurezza ed ordine pubblico in Italia. Le seguenti parole, contenute nella sentenza della Corte di Milano, non lasciano alcun dubbio sulla legittimità del burqa vietato: “La Corte condivide pertanto l’impostazione del Tribunale che ha valutato come proporzionato e ragionevole lo “svantaggio” imposto dal cartello alle donne che indossano il velo integrale per motivi religiosi, in quanto limitato nel tempo e circoscritto nel luogo SSR e giustificato da ragioni di pubblica sicurezza“.
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