Poche cose come la nebbia gelida mette voglia di uscire, un po’ perché sa di avventura e mistero, un po’ perché poi, quando c’hai il gelo nelle ossa, entrare in un locale è una goduria totale. Magari è solo una cosa da nordico, vai a sapere. Ma anche se si sceglie di restare a casa sotto strati di coperte a guardare il fuoco – chi ce l’ha, almeno – l’idea di bere mojito o un Planter’s punch non è il massimo.
Nella mia ricerca dei cocktail classici mi sono imbattuto nel Tom&Jerry, che però nei locali non ti prepareranno mai, che sia uno speakeasy fantascientifico o la hall dell’albergo più vintage. Che fare? Un saggio disse che la tradizione è la soluzione a problemi dimenticati; come la togli, rispuntano fuori. Quindi sono andato a leggere il buon Hugo R. Hesslin, barman del 1917.
Tutti quei tizi in frac dovevano pur ubriacarsi, d’inverno, e avevano lo stesso problema mio. Incrociandolo con il mai abbastanza venerato Elvezio Grassi, 1936 (ammirevoli i complimenti di Puccini, D’Annunzio, e il Ten. Col. Negroni) salta fuori una chicca chiamata Alexander.
È semplice, come tutti i grandi cocktail.
La ricetta originale prevede gin, liquore di cacao e panna in parti uguali, con la fondamentale spolverata di noce moscata sopra. Vent’anni e una guerra mondiale dopo, Elvezio decide di ridurre la panna per renderlo meno pesante; il risultato è un cocktail che se fossi ancora a Mestre definirei il dessert degli alcolizzati, ma in realtà ha il rarissimo dono di soddisfarti senza distruggere la lucidità o la linea, se sei uno che ci bada.
Il carattere del cognac si mescola al cioccolato e l’alcool pizzica appena, stemperato dalla panna. Dopo cena ne bevi uno e sei ben predisposto ad andare a letto, dunque – a mia esperienza – è anche una grande idea da presentare alla ventenne inesperta mentre annaspa guardando un menu di porcate imbevibili.
La panna richiama il White russian, sì.
Ma l’Alexander è onesto; ti dice con precisione cosa bevi e quanto alcool stai buttando dentro, mentre se al mondo esiste un cocktail traditore, è proprio il White russian. Non fidatevi MAI di lui. La panna e lo zucchero del Kahlua mascherano l’ettolitro di vodka e ritardano l’effetto dell’alcool, così all’improvviso a metà serata non sei più in grado di far funzionare le gambe e, quel che è peggio, l’attrezzo che ci sta in mezzo.
Viceversa, l’Alexander oltre a essere equilibrato soddisfa sia la voglia di dolce che quella di alcool, che male non fa. Siccome sta per arrivare dicembre, questo è l’ultimo cocktail che ancora osa il ghiaccio. Da qui in poi entriamo in un mondo nuovo e coccoloso.