Ci sono termini usati frequentemente nel linguaggio comune ed anche nel linguaggio giornalistico, che in verità hanno una specifica origine e connotazione giuridica. Tra questi, il concetto di recidiva. Vediamo allora di seguito di fare chiarezza e di evidenziare che cos’è esattamente, come funziona e quando scatta.
Recidiva: di che si tratta? dov’è è regolata?
Preliminarmente, è da rimarcare che la recidiva è concetto tipico del diritto penale e dei reati: non troveremo mai riferimenti ad essa nell’ambito civilistico o del diritto amministrativo. Con questo termine, il legislatore intende l’ipotesi per la quale un soggetto, dopo essere stato condannato per un delitto non colposo (ovvero commesso nella piena consapevolezza e intenzione), ne commette un altro anch’esso non colposo. Fonte essenziale di riferimento in merito, che sancisce aumenti di pena per colui che si è reso responsabile di recidiva, è l’art. 99 del codice penale. Il soggetto in questione, per legge, può essere dunque sottoposto ad un aumento di un terzo della pena da infliggere per il nuovo delitto non colposo.
Si tratta insomma del vastissimo campo dei reati dolosi (ad esempio furti, truffe, molestie ecc.) ed, in buona sostanza, la recidiva è una circostanza aggravante del reato, come ad esempio, i futili motivi o l’abuso di potere. Due aspetti ulteriori della recidiva, meritano menzione:
- la recidiva non rileva in tutte le situazioni, ma è il magistrato incaricato di decidere la causa penale cui si riferisce, che valuta se contestarla o meno;
- inoltre, essa presuppone che per il primo reato sia già stata emessa una sentenza di condanna definitiva;
Quella vista finora è l’ipotesi semplice, ma la legge penale ne conosce altre: vediamole in sintesi.
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Ipotesi aggravata e reiterata: quando scattano?
Come detto, esistono altre varianti di questo istituto, oltre a quella più generale. Abbiamo pertanto la recidiva aggravata, la quale se presente comporta un aumento della pena superiore a quello previsto per la versione semplice (pari a un terzo). Per il Codice Penale, la versione aggravata scatta – e viene inflitto l’aumento di pena fino alla metà – se ricorre almeno una delle tre condizioni seguenti:
- il secondo reato doloso è stato compiuto nei cinque anni dalla condanna precedente (recidiva infraquinquennale);
- il nuovo reato doloso è della stessa indole (ovvero la recidiva specifica);
- il nuovo reato doloso è stato compiuto nel periodo di esecuzione o dopo l’esecuzione della sanzione penale, oppure durante il periodo di latitanza (recidiva vera).
Va rimarcato che la recidiva specifica ovvero il requisito della stessa indole, è integrato non soltanto dalla violazione della stessa disposizione per due volte (ad esempio due truffe), ma anche dalla violazione di regole diverse ma dai tratti sostanziali comuni (ad esempio minacce e stalking, bancarotta e false fatturazioni).
Ancora, il Codice Penale conosce l’ipotesi della recidiva pluriaggravata, che scatta quando sussistono almeno due delle tre condizioni aggravate. In queste circostanze, la sanzione è aumentata della metà, senza possibili sconti da parte del giudice (possibili negli altri casi).
L’ipotesi reiterata e il ruolo del PM
L’elenco non è finito qui. La legge prevede la recidiva nell’ipotesi reiterata, laddove il soggetto – già recidivo in passato – commette un terzo ulteriore reato doloso. La pena sara della metà, nel caso di ipotesi semplice, mentre sarà di due terzi per l’ipotesi di recidiva aggravata.
In tutte le ipotesi viste sopra, il PM o pubblico ministero, ovvero colui che esercita l’azione penale in giudizio, è tenuto sempre a contestare la recidiva?
La risposta da darsi è no, dato che la legge considera tale aggravante come “facoltativa”: in altre parole, il magistrato potrebbe non contestarla o non riconoscerla nel corso del procedimento penale, essendo in gioco una valutazione in qualche modo discrezionale.
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