Il professore e il “non si sa mai”
Vedo un accanito dibattito sul professore pazzo che su Twitter ha sostenuto l’insostenibile. Erano deliri talmente spropositati che persino il centrodestra gli ha dato contro, scatenando l’ira del centrosinistra che ha definito il professore “un parafulmine” contro cui i sovranisti si sfogano per fingersi persone civili. Detta in soldoni, se uno è di centrodestra non può criticare un nazista perché se voti centrodestra sei già nazista in pectore. È anche grazie a questo ragionamento idiota che tutti i musulmani sono terroristi e tutti gli elettori di sinistra sono brigatisti: fare di tutta l’erba un fascio. Comunque, la domanda da un milione di dollari è se sia giusto che un professore con idee tanto fanatiche insegni all’università.
Sebbene io creda nella libertà di parola, la risposta è no.
Non perché le sue idee siano frutto di una mente disturbata (“i protocolli dei savi di Sion sono falsi ma dicono la verità”, tipo) ma perché l’ambiente scolastico non è luogo dov’è ammesso il dibattito, il confronto o la libertà di parola. Voglio dire, nel 2008 fu proibito a Joseph Ratzinger di parlare alla Sapienza di Roma; un laureato in teologia e filosofia nonché capo spirituale di oltre due miliardi di persone. La maestra che gridò ai poliziotti che dovevano morire venne licenziata, stava per essere riammessa ma le trovarono a casa la bumba e la licenziarono. Stessa sorte stava per toccare alla professoressa che aveva gioito della morte di un Carabiniere, riammessa solo perché il post era stato scritto da suo marito col suo account. Di recente è stato proibito a uomini e donne delle Forze armate di parlare in un liceo. L’istruzione non crede nel dibattito o nel confronto.
Perché un professore nazista dovrebbe essere differente?
C’è stato un tempo in cui le università invitavano a parlare anche personaggi controversi, ma erano tempi in cui chi insegnava era sicuro delle proprie idee e della propria filosofia, tanto da essere pronto a confrontarsi con chiunque. Poi è arrivato il 1968, la controcultura e oggi nessuno sa davvero cosa dice; nessuno crede davvero quello che pensa e soprattutto nessuno è disposto a mettersi in discussione.
Fateci caso, quand’è l’ultima volta che avete visto un talk show dove gli argomenti sono più forti del tono di voce, o di gente che non si interrompe parlandosi sopra?
Nel cuore di ogni estremista cova sempre un inconfessabile dubbio, quindi ogni confronto va evitato perché non si sa mai, e nel secolo dell’ego è più importante avere ragione che essere dalla parte del giusto. Io adoro ascoltare i discorsi dei guru delle sette o i monologhi farneticanti degli estremisti perché so esattamente in cosa credo.
Non ho paura di loro, per lo stesso motivo per cui non ho paura di due gay che si baciano per strada o di due musulmani che pregano Allah. Non mi spaventa cambiare idea, ma devi essere convincente. Guru, nazi, fanatici non lo sono mai, e per quello urlano.
La diversità è vista come un pericolo quando hai un’identità fragile
E noi ce l’abbiamo. La nostra identità è gigantesca, forse tra le maggiori del mondo, ma ce la siamo scordata in funzione di un’Hydra in cosmopolietilene dove non sai chi sei, cosa credi, da dove vieni: ti resta la tazza di Starbuck’s col tuo nome e le identità che vedi nei film perché sono semplici e già comodamente codificate. Noi adulti siamo consapevoli di essere sterili e di poter solo dettare dogmi, senza poterli difendere con motivazioni – e Cristo, a demolire il nazifascismo basta davvero poco. Di conseguenza ci mostriamo preoccupati che i ragazzini assorbano idee sbagliate, ma stiamo mentendo.
Abbiamo paura di assorbirle noi.