“Torna a Mestre, al bar, questione di vita o di morte”

“Torna a Mestre, al bar, questione di vita o di morte”

Trovarsi con gli amici del quartiere da cui vieni è un momento importante, nella vita. Mestre è più o meno la stessa, con la sua foschia e i suoi casi di overdose – stasera due. Il bar è anche quello lo stesso, coi suoi vassoi di pasta al pesto snobbata da chiunque e le patatine fiappe, lì dal 2009 e oramai cementate in un unico blocco: se ne prendi una, tiri su anche la pirofila.

Quando eravamo adolescenti di periferia venire in centro dal terraglio sembrava una cosa cosmopolita. Il Pool& company era il quartier generale ove fiorivano risse, accoltellamenti, furti e questo bar era l’angolo tranquillo dove comandavamo noi. Oggi i clienti sono più o meno gli stessi dell’epoca, uomini e donne che parlottando a bassa voce perché se finisci qui dentro significa che da qualche parte nel corso della tua vita hai preso la tangenziale contromano.

«In pratica questo ha scalato quattro piani per raggiungere la ex moglie e pestarla» fa Luca «L’ho visto in difficoltà sul secondo balcone perché c’era il molosso della pazza, te lo ricordi?»
«Vagamente.»
«Bè, adesso lei vive segregata, manco lo porta a pisciare perciò la povera bestia vive sul balcone ed è impazzita come la proprietaria. Tre quattro volte al giorno senti lo scroscio delle urine che irrorano il marciapiedi sottostante.»

«Cristo.»

Atza e Luca hanno qualche ruga in più, ma tengono duro. Il primo è sempre statale, ha seppellito due genitori e ora vive con un cane, una brava donna che lo sopporta e il suo grande amore, un basso Rickenbacker d’epoca. Luca ha accompagnato la moglie a messa, e lei per pietà gli ha lasciato la serata libera dopo mesi in cui vivono per stare dietro ai bambini piccoli.

«Torniamo allo scalatore» sospiro, girandomi una sigaretta.
«Sì, dicevo, scala quattro piani perché il portiere non l’avrebbe fatto entrare, no? Una volta arrivato si mette a sfasciare la porta finestra a calci urlando troia, adesso vedi
«Ma non potevate chiamare la polizia?»
«Certo che l’abbiamo chiamata, m-

Il chiacchiericcio del locale si abbassa. Fuori c’è una donna che urla, anzi, geme e si avvicina. Il locale tace mentre l’inconfondibile suono di un coito sparato da quattro casse più woofer rimbomba fuori dalle vetrate. Alcuni si sporgono per vedere, il suono tace di colpo. Una portiera si apre e chiude, poi la porta del locale si spalanca e appare Ario in un orrido completo blu: «BATMAAAAAAAN» grida, strusciando lo scroto contro lo stipite della porta e fissando la cameriera «NANANANANA NANANANANANANANA NANA BATMAAAAAN».

Lei si accartoccia e fugge in cucina.

«Una media, sul mio conto» le grida dietro. Perlustra la sala nel silenzio generale, ci vede, sbuffa schifato e ci raggiunge: «La sfiga aleggia possente attorno a questo tavolo. Che si dice?»
«Mi stavano raccontando di quello che ha scalato quattro piani per picchiare la ex moglie.»
«Eh, un uomo è le battaglie che si sceglie» sospira Ario, prendendo la birra che le sporge la cameriera.

Il bello di Ario è che non invecchia. A quarant’anni la gente normale diventa più garbata, matura, ha meno voglia di fare casino o di crearne. Ario no, è lo stesso di quando aveva sedici anni. Parla nello stesso modo, solo il fisico è cambiato, e non in meglio.

«E quali sono le tue battaglie?» domando.
«La droga.»
«Un eterno perdente» fa Atza.
«Combatto la droga con la droga. È come fare il controfuoco per domare gli incendi. Prendi la serata qualunque di un uomo qualunque: esci per la birretta, no? E subito una canna per evitare di esagitarti. Poi passi ai Negroni, quanti? Quattro? Cinque?»

«CINQUE Negroni?»
«Ovvio, come credi che abbia fatto tremila euro di conto in un mese, qui, con i bianchetti? A quel punto sei ben spaccato, te la passi, ma poi è il momento della cena. Devi guidare, quindi vai in macchina, sgrammi sul CD di Arisa e sei come nuovo. Puoi cenare con vino, roba sciccosa. Fatto? E via, via alla discoteca tra le sbarbe, dov’è tutto un vodka lemon. Quanti te ne fai? Cinque? Sei?»



«Ario, io sarei morto molti drink fa.»
«Comunque è il momento del viaggio allucinante dove non sai se stai toccando culi o divani, ma sei felice. Del resto con la musica che mettono oggi è l’unico modo. Serata conclusa, puoi scegliere se farti l’after oppure sgrammare e sgommare a casa.»

«In caso di etilometri, conflitto a fuoco» commenta Luca.
«Non vedo grandi vittorie» aggiunge Atza.
Io vorrei sapere dello scalatore.

«Signori miei, a 42 anni ho capito la grande verità.»
«Dai, dì ‘sta cazzata» gemo.

«Tutto questo è destinato a finire. Lascia stare Mestre, che è un’oasi felice.»
«Felice?»
«Sì, per uno spacciatore. Ma fuori gli sbarbati di oggi non si drogano seriamente, non c’è impegno, gli manca proprio la passione. Sono anni che non vedo più gente nuda correre per via Piave urlando di essere inseguita dai Gremlin. Vai in discoteca e li guardi, non si divertono. Non interagiscono. Stanno lì coi cellulari pure quando ballano. E uno come me cosa deve fare, se non diversificare il business?»



«Ario, fai il saldatore.»
«Seh, questo è quello che sanno il giudice e la banca, dunque a mia moglie passo l’assegno di mantenimento tarato su quello stipendio, mica sul cash peso che svolto, haha.»
«Hai divorziato?»
«Sì. I figli li ho fatti, è tempo di prendere il largo. Comunque, il mio reddito principale viene dal malaffare, il traffico maledetto, la delinquenza.»

«Vendere rosmarino e latte in polvere ai ritardati, in pratica» fa Atza.

«Ecco. Ebbene, da qualche tempo sono andato nelle discoteche da cinquantenni e fioi, altro mondo. Lì ho trovato il business del futuro. Avete Instagram?»
«Sì, per modo di dire.»
«Ecco, io ho scoperto che da un lato abbiamo sbarbe e sbarbi ansiosi di mettere a frutto i loro talenti, dall’altra abbiamo intere discoteche di cinquantenni ansiosi di sperperare i guadagni di una vita. Questi due mondi non sono destinati a incontrarsi per problemi di comunicazione. I vecchi non sanno parlare coi ragazzini e viceversa. Cosa deve fare una milf che vuole provare l’ebbrezza di un ventenne? Gli mette i like, gli manda le canzoncine neomelodiche su Youtube? Non funziona. Allora prova a cercare su Google, o su Tinder, ma è a disagio. Non funziona. Cosa fa? COSA FA?»

«Cosa fa» ripeto con la testa tra le mani.
«Serve qualcuno cresciuto nella noche caliente che li aiuti a rompere il ghiaccio e, alla bisogna, distribuisca botte. Chi è la prima persona che vi viene in mente?»
«E dire che con la truffa delle birre artigianali agli hipster credevo avessimo toccato il fondo» fa Luca, bevendo un sorso e guardando verso l’uscita «Quando incontrerò San Pietro saprò perché non me ne sono andato da qui.»

«Ario, questa è teoria o pratica?» domando.
«Ma pratica, amico mio, pratica. Guarda!» esclama, tirando fuori un iPhone dorato e aprendo le foto «Questo è il mio recinto. Guardalo qui, Yuri, rugbysta, bello come il sole, nerchia di tutto rispetto ma timido, introverso.»

«È scemo come una campana.»
«Oh senti, se una con la terza media può fare la ministra dell’istruzione e un disoccupato può fare il ministro del lavoro mo’ serve il cervello per trombare? Poi lei, guardala. Senti che nome: Samuela. L’ho scelto io. Si chiamerebbe Britnei Bison, ma lasciamo stare. Totale undici maschi e sette femmine. Sarebbero otto, ma finché non vedo carte d’identità meglio di no. Venerdì andiamo tutti insieme alla discoteca dei vecchi che fanno le coreografie da ospizio tipo la zumba, i cowboy, mani in aria in piscina. Tutti tirati a lustro, bicipiti e culi. Volete venire? È tipo l’inaugurazione dell’azienda.»

Io.

«Ario, tu mi hai fatto prendere un treno da Milano dicendo che era una questione di vita o di morte per…?»
«Dato che sei un giornalista volevo che questa domenica facessi un reportage da prima pagina con foto, interviste, approfondimenti alla mia scuderia. Si può fare, no?»

Mentre il treno mi riporta a Milano, guardo Mestre svanire avvolta dalla nebbia. Tra poco dovrò trasferirmi a Roma, devo programmare il trasloco mentre programmo il matrimonio e il viaggio di nozze. Se dicessi al Nebo che dormiva in una sala prove che sarei finito in giacca di tweed e cravatta jacquard a Roma, con una redazione e tanti progetti in corso, lui m’avrebbe riso dietro.

Noi quarantenni riscriviamo il passato togliendo i ricordi brutti, più o meno come stiri e pieghi una camicia che poi terrai per sempre in un cassetto. Eppure forse laggiù ho lasciato qualcosa. Quella leggerezza suicida di chi non ha niente da perdere e va dritto contro un muro ridendo invece di schivarlo tra paranoie, ansie, attese, prudenze. C’è qualcosa di selvaggio, folle e ipnotico, in quell’idiota. Quella luce negli occhi che non sai mai capire se è stupidità o genio, incoscienza o coraggio.

Mestre non mi manca. Non mi è mai mancata.
Ma forse ogni tanto, mi manca quella luce lì.