Il senso della comunità per l’ego

Pubblicato il 13 Dicembre 2019 alle 18:16
Aggiornato il: 3 Gennaio 2020 alle 18:41
Autore: Nicolò Zuliani
Il senso della comunità per l’ego

Ho già scritto qualche articolo su come gli estremismi che spuntano qui e lì siano da ricondurre più all’ego che a un ideale. Quasi nessuno oggi tiene conto che la società ha cominciato a rapportarsi più su digitale che nel mondo reale; una volta si stava in rete per fuggire dalla realtà e oggi si sta nella realtà per fuggire da Internet. Sarebbe ottuso non considerarlo, e sarebbe altrettanto ottuso credere la persona reale e quella digitale siano sovrapponibili. In breve, le urla, gli slogan, l’odio sono un modo che le anime semplici usano per mettersi in mostra. O meglio, per far emergere la propria identità in mezzo agli altri account.

Internet è un mondo dove il contenuto è tutto sommato irrilevante: quel che importa è la reazione che suscita. Uno può scrivere un post riflessivo o pacato e avrà pochissime reazioni, buone o cattive che siano. Se vi ricordate, quando arrivarono i cinquantenni su Facebook, era tutto un “e adesso vediamo chi mi risponde…”, “massima condivisione”, “solo il 10% condividerà”, “metti like e fai girare se”.

Alla fine sono call to action goffe e passivo aggressive che interessano l’ego, non il contenuto. L’identità è uno degli istinti primari e ce l’hanno tutti, incluso me e te. È la nostra cultura ed educazione che ci insegna a metterlo da parte, o a presentarlo in maniera socialmente accettabile.

Prendete i vegetariani. Appena il loro regime alimentare è diventato mainstream, una branca si è estremizzata diventando vegana. Quando anche quella è diventata mainstream sono arrivati i fruttariani, poi i crudariani, poi i respiriani; quest’ultimi sono – per un principio base dell’energia – dei bugiardi, ma non gli importa. Gli importa di emergere, di distinguersi, e di vedere così riconosciuta la propria identità. È dopo, non prima, che questa sorta di avatar ritardato emerge nel mondo reale con il ragionamento “se funziona in Internet, allora funziona anche nel mondo reale”.

Avete presente il tizio che alle feste fa battute da Internet e sul pavimento le palle cadute ai maschi si mescolano alla sabbia che cade dalle mutande delle femmine?

Nel 2019 qualsiasi comunità che si forma, pur avendo un ipotetico nemico contro cui unirsi, quasi subito si scinde in fazioni coi pretesti più risibili; lo vedo succedere ogni giorno nella politica, nella geografia, in Internet. Perché? Forse perché oggi non ci uniamo per ingrandire un’idea, ma noi stessi. In parecchi abbiamo smesso di credere nell’aldilà, paradiso o reincarnazione che sia, dunque alle nostre azioni vogliamo vedere una ricompensa immediata, e il solo modo per averla è fare in modo la nostra identità spicchi.

Se è così – sto ragionando – è interessante, perché significa che nessuna formazione è destinata a durare abbastanza per cambiare qualcosa. Si scinderà prima di ottenere dei risultati. E non so perché, ma continuano a rimbalzarmi in testa il cinismo, il sarcasmo e il nichilismo propri della mia generazione, che ha plasmato il gergo di Internet. Dopotutto siamo stati noi del 1980, più o meno, a partire con i modem 56k e i forum così da arrivare nei social già adusi al dibattito online.

Senza accorgercene abbiamo plasmato la dialettica, la retorica e alla fine la filosofia che permea Internet, perché eravamo già qui, eravamo più preparati, e abbiamo investito i nuovi arrivati con la retorica tipica dei disillusi.

Ma non è affatto detto sia destinata a rimanere uguale.

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L'autore: Nicolò Zuliani

Veneziano, vivo a Milano. Ho scritto su Men's Health, GQ.it, Cosmopolitan, The Vision. Mi piacciono le giacche di tweed.
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