Facciamo chiarezza di seguito sul contratto lavoro intermittente (detto anche lavoro a chiamata o “job on call”), ovvero una tipologia contrattuale che oggi vanta una considerevole diffusione, vista la flessibilità del mercato del lavoro e l’attuale tendenza di datore di lavoro e lavoratore, ad adattarsi alle particolari contingenze, e quindi a regole ed istituti differenti dal classico contratto di lavoro subordinato full-time.
Contratto di lavoro intermittente: cos’è?
Anzitutto, diamo una definizione di contratto di lavoro intermittente, tipologia contrattuale introdotta in Italia dal d. lgs. n. 276 del 2003, decreto promosso a seguito dell’attuazione della legge n. 30 dello stesso anno (la nota legge Biagi). Sulla disciplina di tale contratto di lavoro sono poi intervenute, nel corso del tempo, ulteriori modifiche e precisazioni, tra cui quelle che si possono cogliere nella riforma Fornero del 2012 e nel recente decreto Dignità, ma soprattutto nel noto Jobs Act, ovvero il d. lgs. n. 81 del 2015. Ma allo stato attuale della legge, che cos’è di fatto il contratto di lavoro intermittente?
Semplicemente altro non è che un contratto di lavoro subordinato, avente queste caratteristiche essenziali:
- può essere a tempo determinato o a tempo indeterminato;
- il lavoratore, apponendo la propria firma al contratto, si impegna ad essere a disposizione del datore di lavoro o azienda. Quest’ultima pertanto ne può sfruttare la prestazione professionale in modo discontinuo (quindi non come avverrebbe in un tradizionale lavoro dipendente full-time o part-time), ed anche con riferimento all’ipotesi di effettuare le prestazioni lavorative in lassi di tempo predeterminati nell’arco della settimana, del mese o dell’anno.
Contratto di lavoro intermittente: presupposto soggettivo ed oggettivo
La forma di tale contratto (obbligatoriamente scritto ai fini della prova) deve rispettare, in particolare, due distinti presupposti di validità, uno soggettivo e l’altro oggettivo:
- con il primo requisito, la legge stabilisce che tale contratto di lavoro intermittente può essere concluso soltanto con soggetti con un età inferiore ai 24 anni – purché le prestazioni lavorative siano effettuate entro il 25° anno – o con più di 55 anni. È chiaro quindi che il target di questo contratto sono i giovani che desiderano entrare nel mondo del lavoro e le persone meno giovani che, invece, possono avere maggiori difficoltà a reinserirsi nel mercato;
- con il secondo requisito, la legge intende che tale contratto di lavoro va opportunamente previsto nel CCNL di riferimento per il particolare ruolo del lavoratore. In assenza di una fonte di questo tipo, le ipotesi in cui potersi servire del contratto in oggetto sono elencate con decreto ministeriale ad hoc.
Aspetti pratici di applicazione
Con il ricorso a tale contratto di lavoro intermittente, il dipendente si mette a disposizione del datore di lavoro e vede la sua attività suddivisa in fasi effettive di occupazione e fasi di inoperatività, in cui appunto resta in attesa di chiamata. In particolare, nei lassi di tempo in cui non lavora, egli non matura alcun diritto a percepire retribuzione o altro emolumento, a meno che si sia reso disponibile a rispondere alla chiamata. In queste ultime circostanze beneficia infatti della cosiddetta “indennità di chiamata”.
Va rimarcato che la legge vigente impone che il contratto di lavoro intermittente è consentito, per ogni lavoratore con il medesimo datore di lavoro, per un periodo totale non superiore alle 400 giornate di concreto lavoro nell’arco di tre anni solari. Ciò però vale ad eccezione dei settori del turismo, dei pubblici esercizi e dello spettacolo. E, in ipotesi che tale periodo sia oltrepassato, il rapporto di lavoro in oggetto diviene – a tutti gli effetti – un rapporto di lavoro full-time e indeterminato.
La previsione dell’obbligo di disponibilità
A questo punto, va chiarito il ruolo e l’importanza del cosiddetto obbligo di disponibilità, il quale può essere liberamente pattuito dalle parti nel testo del contratto di lavoro intermittente. Abbiamo pertanto due ipotesi: contratto con o contratto senza obbligo di disponibilità. Vediamole più da vicino:
- con la prima ipotesi, il lavoratore è tenuto a rimanere a disposizione del datore per effettuare la prestazione lavorativa, quando l’azienda la richiede. In tale ipotesi è concessa al dipendente una indennità mensile di disponibilità, prefissata dai CCNL. Va rimarcato però che, nel corso del periodo di disponibilità, non è titolare di nessuno dei diritti assegnati ai lavoratori subordinati (pertanto non guadagna alcunché): ciò salva l’eventuale indennità di disponibilità.
- con la seconda ipotesi: il lavoratore ha diritto di rifiutarsi, ovvero di non lavorare, pur chiamato e richiesto dal datore di lavoro. Ne consegue che il dipendente, in ogni caso, avrà diritto alla retribuzione corrispondente alle esclusive ore di lavoro effettivamente svolte.
Concludendo, ricordiamo che in alcuni casi, tassativamente stabiliti dal legislatore, non si può mai applicare tale contratto di lavoro intermittente, ovvero:
- è vietato tale contratto a tutte le aziende che non rispettano le regole normative in materia di sicurezza sul lavoro;
- non si può usare tale contratto per far compiere le identiche mansioni di lavoratori che nei sei mesi precedenti siano stati oggetto di licenziamenti collettivi, di sospensione o di riduzione di orario;
- e, infine, non si può usare tale contratto per sostituire chi fa sciopero.
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