Per chi come me non segue il calcio, la storia dei cori razzisti negli stadi è giunta all’orecchio come la eco di un temporale. A quanto sembra è un fenomeno diffuso nel mondo; al passaggio di un giocatore con la pelle scura si fanno versi scimmieschi, si lanciano banane e altre cazzate da prima elementare che adesso mi sfuggono.
La FIGC dice di prendere sul serio il problema e inventa una campagna contro il razzismo, #WeAreAllTheSame. Viene scelta un’immagine dell’artista napoletano Simone Fugazzotto che, racconta, ascoltando la suburra dare della scimmia a qualche giocatore nero ha pensato di trasformare l’offesa in orgoglio, elevando i primati a simbolo di unità.
Fin qui non solo mi piace, lo adoro
Siamo scimmie che nell’ultimo periodo hanno inventato robot, intelligenza artificiale e viaggi spaziali, ma restiamo tali negli istinti, nei desideri, nei meccanismi sociali e soprattutto nel codice genetico. Siamo partiti dal bastone e le pietre e in qualche milione di anni siamo finiti a riparare satelliti nello spazio.
Abbiamo impiegato 500 anni ad attaccare l’aratro a un bue, oggi impieghiamo mezzo secondo a parlare con qualcuno dall’altra parte del globo. La nostra specie ha prevalso su ogni altra presente sulla Terra. I predatori ci mangiavano i figli, oggi portiamo i figli a vedere i predatori.
Ne dovremmo tutti andare immensamente fieri
Oggi che la fisicità è passata in secondo piano, pochissime cose ci ricollegano alla nostra parte animale. Lo sport è una di queste; a dire la verità, è la massima elevazione della fisicità. Porta tutti sullo stesso piano, a parità di mezzi e regole. Quando assistiamo a una grande performance sportiva vediamo il meglio della nostra parte animale e di quella razionale: da un lato muscoli, flessibilità, agilità, forza. Dall’altro disciplina, allenamento, dedizione, studio. Dovessi scegliere un simbolo per lo sport prenderei proprio la faccia della scimmia, perché dice “da qui siamo partiti tutti”, bianchi o neri, gialli o rossi.
È un messaggio di umiltà e grandezza insieme.
Solo che la teoria è una cosa, la realizzazione un’altra
Dalla serie “la mappa non è il territorio” bisogna immaginare una federazione calcistica che campa ammassando bestie senza cervello negli stadi dove, con la scusa del calcio, s’ammazzano tra loro per riscattarsi delle loro scelte sbagliate. Quelle figure eterna ben ritratte da Gassman nel capolavoro «Oddìo, me pija lo sturbo», per capirci.
Lì dentro è un tripudio di ignoranza, razzismo, complottismo, criptofascismo che germoglia nella cronica mancanza di figure paterne, e dare a giocatori africani delle “scimmie” è la norma. Usare una scimmia per combattere il razzismo negli stadi è come usare una svastica in un centro sociale per promuovere la cultura Indù. Sì, in teoria è una bella idea.
Nella pratica verrai lapidato.
Così, mentre in Italia se ne parla pochetto, ci tirano macigni con le catapulte la CNN, il Guardian, Il Mirror, il Daily mail, l’Indipendent e pressoché tutto il resto del globo terracqueo dotato di un televisore. Come ho già scritto, se il razzismo negli stadi venisse considerato un problema reale avrebbe soluzioni reali, immediate ed efficaci. Questa era una delle ennesime belle idee per nascondere la polvere sotto il tappeto, ma è riuscita a creare un ulteriore problema.
Bel colpo.