La gente da cui vengo non parla come la gente tra cui vivo
I discorsi da autobus di Nanni Moretti li sentiamo in qualsiasi bar sport, nei discorsi dei tassisti o delle persone anziane; l’osannare Adolf o Benito, sparare frasi roboanti in un mix che butta dentro neri, donne, gay, zingari, politici e comunisti. Li sento fare più o meno da tutta la vita, prima in periferia della provincia, in quartieri che te li raccomando, dove la poca o nessuna istruzione si mescola a birrette annacquate nei bar dei cinesi, le “maledette slot” e qualche traffico illecito che di solito abbraccia la triade ricettazione, spaccio e truffa ai danni dello Stato.
Negli anni ’90 c’erano dentro anche i meridionali, adesso a quanto pare il problema s’è risolto. Li sentivo in falegnameria, o quando servivo ai tavoli, quando lucidavo scaffali in farmacia. Anche nelle corsie delle case di riposo, e non saprei dire se più per bocca degli infermieri o dei pazienti.
È che non gli ho mai creduto.
Non gli credo nemmmeno oggi.
Le persone quando parlano dicono molto più dei concetti che anzi, spesso sono secondari. Con tono, mimica, gesti, sguardi, tempi dicono principalmente chi sono e cosa vogliono davvero; a parole dicono i dettagli. C’è chi parla finché non trova qualcosa da dire. Chi si tortura girando attorno al concetto che vuole esprimere e s’incastra, si perde, fino ad arrabbiarsi perché l’interlocutore lo interrompe, magari facendogli la sinossi. C’è chi t’interrompe e poi si accorge di non avere niente da dire, voleva solo far presente che c’era. Quelli che tossiscono perché le pause li mettono a disagio. I social hanno spazzato via tutto questo in favore solo delle parole; chi non ne ha pare una scimmia che tira la merda allo zoo.
Eppure è un essere umano.
Crescere in mezzo a realtà umili o degradate può omologarti o spingerti a scappare, ma in ogni caso i suoi meccanismi ti rimangono. Oggi giornalisti, autori e intellettuali parlano del “paese reale” come fossero i feroci fuori dalle mura delle città medievali; non ci stanno in mezzo, e o non l’hanno mai fatto o se lo sono dimenticati.
Sono troppo abituati a comunicare coi propri simili per sapere che in altre realtà meno, uh, dotte, le persone sono diverse e quindi parlano in maniera diversa. Non sanno mettere in parole i concetti perché gli manca il vocabolario e l’autodisciplina necessaria a trasformare emozioni e sensazioni in frasi compiute. Non hanno ben presente la sfumatura, una cosa è bianca o nera. Questo non significa che quando vedono il grigio non lo capiscono. Anzi, spesso ci riescono bene.
Prendete quel soggetto, er Brasile.
Si proclamava fascista, tatuaggi di Benito Mussolini e Adolf Hitler, saluto romano. Poi appena cominciano a invitarlo in trasmissione, ascoltarlo, parlarci che fa? Se li cancella e in radio spiega che se li era fatti solo per far incazzare la gente, così li poteva menare. Vauro adesso ci esce e si sentono per telefono quasi ogni giorno, perché hanno cominciato a costruire un lessico comune.
Io non credo al ritratto che gli stimaticolleghi si affannano a dare del nostro popolo, ma credo il nostro popolo sia profondamente ignorante e che le cose siano degenerate per l’isolamento. Dietro i discorsi da autobus non c’è il desiderio di genocidio o una reale discriminazione su base razziale, dietro i commenti agghiaccianti che si leggono sotto alcune notizie non ci sono mostri, se non in minima parte.
Io credo lì dietro ci siano persone sprovviste di mezzi per attirare l’attenzione su di sé, sui propri problemi, le proprie richieste. Persone che berciano, latrano orrori perché è il solo modo con cui sanno trasmettere le proprie emozioni e siamo noi, colti o quasi colti, che li ascoltiamo con un orecchio ottuso. Forse sono ottimista, me lo dicono in tanti. Ma io conosco questa gente, ci so parlare, li so capire, l’ho sempre fatto fin da bambino e so che dietro orrori gridati a volte non c’è un mostro, c’è solo una persona diversa, frustrata, arrabbiata e sprovvista di modi per farsi capire; o di orecchie disposte ad ascoltare.
Magari è wishful thinking, sì.
Ma resto dell’idea che l’italiano sia un popolo sostanzialmente buono, e che meriterebbe una narrazione migliore.