Rapido 904, trentacinque anni dopo ancora “zone grigie”
A trentacinque anni dalla strage del Rapido 904, non tutto è ancora stato chiarito. Un intreccio tra criminalità organizzata, eversione e politica.
Il 23 Dicembre 1984, il Rapido 904, partito da Napoli con destinazione Milano, imbocca la “Galleria degli Appennini” a San Benedetto Val di Sambro, in provincia di Bologna. Non ne uscirà mai. Alle ore 19.08, un’esplosione devastante provoca 15 vittime (saliranno a 16 poco tempo dopo) e 267 feriti. Trentacinque anni dopo alcuni aspetti della vicenda non sono ancora chiari.
La difficoltà dei soccorsi
Chi aveva progettato la strage del Rapido 904 sapeva che il 23 Dicembre il convoglio sarebbe stato stracolmo di nuclei familiari in viaggio per le feste. Tutto era stato concepito per arrecare la maggior devastazione possibile. E infatti sono ingentissimi i danni subiti dal mezzo, con il vagone n° 9 completamente distrutto. Come si scoprirà in seguito, a provocare l’esplosione – mediante un telecomando – era stata una carica esplosiva portata a bordo e poggiata su un portabagagli approfittando della sosta del Rapido 904 a Firenze.
I primi soccorritori accorsi si scontrano subito con le difficoltà dovute alla modalità del’attentato: il rapido è immobilizzato nel tunnel e di collegarsi via radio non se ne parla neanche. Alcuni passeggeri, che provano dall’interno a soccorrere i feriti, oltre che al freddo, si ritrovano anche al buio, perché l’illuminazione della galleria viene presto a mancare. Per estrarre quanto meno le carrozze in cima al convoglio, viene usata una motrice alimentata a gasolio, che però, nell’ambiente chiuso della “Galleria degli Appennini”, causa una serie di problematiche legate ai gas di scarico, rendendo indispensabile l’uso di bombole di ossigeno per la sopravvivenza dei passeggeri ancora intrappolati. Fortunatamente, il piano di emergenza messo a punto all’indomani della strage alla stazione di Bologna di quattro anni prima, permise un trasbordo efficiente dei feriti all’ospedale del capoluogo emiliano.
Le indagini: rapporti tra criminalità organizzata ed eversione
Le indagini sulla strage del Rapido 904, affidate alle Procure di Napoli e Roma, individuano presto un complicato intreccio tra mafia, camorra ed eversione “nera”, mentre incombe l’ombra della P2 e – non per la prima volta – di frange dei Servizi Segreti. In particolare, l’inchiesta napoletana conduce verso Massimo Abbatangelo, parlamentare del Msi-Dn, e Giuseppe Misso, boss camorrista che ha legami con l’estrema destra. Il filone romano, invece, individua in Guido Cercola, stretto collaboratore del boss di Cosa Nostra Giuseppe Calò, uno dei responsabili della strage. Gli indizi si trasformano in prove quando, nell’abitazione di Franco D’Agostino, uno degli esponenti malavitosi più prossimi a Cercola, vengono rinvenuti congegni radio compatibili con quello che ha innescato l’esplosione e, in uno stabile di proprietà dello stesso Cercola, presso Rieti, confezioni di Semtex H, tritolo e detonatori, che le perizie riterranno dello stesso tipo di quelli usati per l’attentato al Rapido 904. Alcuni esponenti pentiti della criminalità organizzata confermeranno in seguito le supposizioni degli inquirenti, svelando i rapporti tra organizzazioni malavitose e palazzi della politica, in particolare, come si è detto, quelli tra Misso e Abbatangelo. Quest’ultimo avrebbe fornito a Misso, tra l’altro, dell’esplosivo.
Rapido 904, i processi contro la criminalità organizzata
Il processo contro Giuseppe Calò, ritenuto il mandante dell’attentato al Rapido 904 e altri 22 esponenti della criminalità organizzata e comune, più Giuseppe Abbatangelo, iniziato nel 1985, si concluse in primo grado nel 1989. A Calò, Cercola e Misso fu comminata la pena dell’ergastolo per strage; 28 anni, invece per D’Agostino e 25 a Friedrich Schaudinn, tecnico tedesco che avrebbe materialmente provveduto a costruire i detonatori. Gli altri imputati furono ritenuti colpevoli della fattispecie delittuosa di banda armata. Anche l’appello, nel 1990, sostanzialmente confermò le pene inflitte in primo grado, ma assolse Misso dall’accusa di strage, condannandolo però a tre anni per detenzione di esplosivo. Ma la Prima Sezione di Cassazione presieduta da Corrado Carnevale – che sarà poi al centro di alcune vicende giudiziarie – annullò le sentenze emesse in primo grado. Viste le polemiche che ne scaturirono, la Corte di Cassazione ingiunse che si svolgesse un ulteriore dibattito, svoltosi a Firenze, che invece confermò le sentenze del secondo grado di giudizio, condannando però Misso a tre anni per detenzione di esplosivo. Nel 1992, infine, la Quinta Sezione della Corte di Cassazione, diede il suo avallo a ciò che era stato stabilito a Firenze, ribadendo “la matrice terroristico-mafiosa dell’attentato”.
La posizione di Abbatangelo
Massimo Abbatangelo, in quanto parlamentare, godeva dell’immunità. La Camera dei Deputati non ne aveva permesso la detenzione, ma solo lo svolgimento del processo. Nel 1991 gli fu irrogata la pena del carcere a vita, per il suo coinvolgimento nella strage del Rapido 904, ma nel 1994, la Corte d’Assise d’Appello di Firenze, annullò la condanna e gli inflisse 6 anni per avere fatto pervenire a Misso la confezione contenente l’esplosivo. Le vibranti proteste dei familiari delle vittime, che ricorsero contro la sentenza, non ebbero esito alcuno, anzi, soccombendo, dovettero sostenere le spese processuali. Le famiglie delle vittime, peraltro, non ottennero mai alcun risarcimento.
Rapido 904, il coinvolgimento di Totò Riina
Quando si era ormai spenta l’eco dei processi per la strage del Rapido 904, nel 2011 fu aperto un procedimento contro Totò Riina da parte della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli. Il vecchio boss era ritenuto il vero mandante della strage di Natale. Il procedimento giudiziario, avviato nel 2014, si concluse con l’assoluzione con formula dubitativa dell’imputato nel 2015. L’appello venne fissato per il 21 Dicembre 2017. Riina, però, cessò di vivere pochi giorni prima, il 17 Novembre, portando con sé anche le ultime possibilità di fare piena luce sugli avvenimenti del 1984.
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Perché la strage di Natale
Ma perché fu portato a termine l’attentato al Rapido 904? Come ha stabilito la Commissione Parlamentare di Inchiesta nel 1995, il motivo scatenante fu la volontà dei vertici della Mafia di reagire ai colpi che lo Stato stava mettendo a segno contro l’organizzazione, anche per mezzo dei pentiti che contribuivano a fare luce su aspetti fino ad allora ignoti di questa organizzazione criminale. Anche il luogo non fu una scelta casuale. Non lontano da lì, nel 1974, ebbe luogo l’attentato all’Italicus, anche se, per massimizzare le conseguenze dell’esplosione, il 23 Dicembre 1984 l’esplosivo detonò solo dopo che il treno era entrato in galleria. Così ebbe a dire il Senatore Giovanni Pellegrino a nome della Commissione: “La matrice mafiosa nell’ultima delle grandi stragi che chiude il quindicennio 1969-84 offre una pista che conduce in una zona grigia caratterizzata da rapporti incrociati tra mafia, servizi segreti, criminalità politica e comune, il cui ruolo appare ormai innegabile in molte delle vicende anche anteriori al 1984”.
Quest’oggi, nel trentacinquesimo anniversario della strage, il Presidente Mattarella ha così voluto ricordare le vittime: “Il trentacinquesimo anniversario della strage avvenuta sul treno rapido 904, all’interno della grande galleria dell’appennino tra le stazioni di Vernio e San Benedetto Val di Sambro, è un giorno di memoria e di raccoglimento per la nostra comunità nazionale. Le vite spezzate di passeggeri inermi, alcuni dei quali bambini, le sofferenze dei tanti feriti, l’atroce dolore patito dai familiari hanno impresso un segno indelebile nella storia della Repubblica. La memoria di tante vittime innocenti rafforza il dovere per le istituzioni, per gli organi dello Stato, per tutta la società civile di rispettare continuamente i valori di civiltà, di libertà, di solidarietà che sono la base della nostra Costituzione”.
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