Non esiste un bel modo per raccontare una tragedia, ma esiste quello giusto
Sabato notte, a Roma, due adolescenti sono state investite dalla Renault Kronos guidata da un loro quasi coetaneo, Paolo Genovese, che si è fermato subito a prestare soccorso. Gaia e Camilla, entrambe di 16 anni, sono morte sul colpo. Gli esami del sangue hanno trovato tracce di alcool (1,4 su 0,5) e droga. La dinamica dell’incidente è ancora da chiarire; stando ad alcuni testimoni pare che le due, tenendosi per mano, abbiano attraversato di corsa Corso Francia, strada a scorrimento veloce, dove non c’erano strisce né precedenza.
È una tragedia? Sì.
Da un lato ci sono due famiglie che hanno perso la cosa più cara; seppellire il proprio figlio credo sia uno dei dolori più grandi una persona possa provare. Dall’altro c’è un uomo di successo – il regista Genovese – che in una notte scopre che suo figlio assume sostanze stupefacenti, è indagato per omicidio ed è trattenuto in carcere. Anche questa è una cosa che non si augura a nessuno.
È una notizia?
Bè, sì.
Lo sarebbe a livello locale, ma siccome l’investitore è figlio di un personaggio pubblico e regista affermato in Italia, la cosa assume carattere nazionale. È normale. Fuori e dentro le discoteche si accoltellano ogni notte, se però la vittima è il figlio di Simona Ventura, nota conduttrice televisiva, allora riguarda tutti. Può piacere o meno, ma leggere la cronaca nera non è obbligatorio. Molti sui social si sono lamentati del titolo di Repubblica “Investitore drogato” perché è già un suggerimento al linciaggio (in effetti potevano anche scrivere diteci cosa pensate dell’investitore nei commenti!!!1!!11!), altri sono inorriditi perché il Corriere della Sera ha preso gli ultimi video dal profilo Instagram delle ragazze, ci ha cucito sopra uno spot pubblicitario e l’ha messo sulla propria pagina.
Fa schifo?
Abbastanza.
Ma forse non c’è un modo gradevole per raccontare una storia del genere. Il sangue giovane grida rabbia e va a toccare le corde emotive di giornalisti e lettori. La cosa giusta da fare sarebbe attenersi ai fatti, mantenere un tono distaccato cercando di avere una regia della notizia piatta, che poi è il modo più veloce per essere ignorato, ti dicono nelle redazioni. Morte, corna e sesso sono pozzi a cui le persone semplici adorano abbeverarsi, Dio sa perché, e sono affamate di dettagli. Vogliono le lacrime, il “cosa prova”, le dichiarazioni dei genitori, le lettere aperte e tutta la miseria che ne segue; non lo dicono, naturalmente, ma i dati di vendite e di visite parlano chiaro.
Noi abbiamo il compito di raccontare i fatti; decidere qual è il confine tra notizia e pornografia del dolore sta alla linea editoriale, sì, ma anche al nostro buongusto e buonsenso perché ogni singolo elemento fa parte della narrazione: raccontare che Tartaglia ha spaccato la faccia di Berlusconi scatena una reazione, mostrare la faccia sanguinante di un vecchio di settant’anni un’altra. Cosa sia giusto, alla fine, è personale e fa in modo che i lettori si abituino a una o all’altra penna e ci si affezionino.
La mia idea, che però è solo mia, è nata dopo la mia breve esperienza in cronaca nera: ed è starne il più lontano possibile. A furia di trafficar cadaveri non puoi stupirti se hai la fama del boia, o se i tuoi lettori sono avvoltoi.