Lavoro intermittente con maternità: ecco cos’è e come funziona
Lavoro intermittente e maternità: cosa dice la legge in queste specifiche circostanze e quali tutele sono previste per le lavoratrici in gravidanza
Il lavoro intermittente – o lavoro a chiamata – certamente rientra tra i contratti di lavoro più flessibili, a tutto vantaggio del datore di lavoro, che si serve del lavoratore intermittente quando necessario per la produttività e gli obiettivi d’impresa. In effetti, tale tipologia contrattuale implica che la risorsa sia retribuita soltanto per il tempo effettivamente lavorato. Di seguito però, poniamo attenzione al fatto che la lavoratrice intermittente, in verità, può aver diritto agli stessi diritti e garanzie di un lavoratore subordinato tradizionale, in particolare durante la gravidanza. Ecco come.
Lavoro intermittente: la definizione secondo la legge
È il d. lgs. n. 81 del 2015 – ovvero il noto Jobs Act – a chiarire formalmente che cos’è un contratto di lavoro intermittente, con queste parole: “Il contratto di lavoro intermittente è il contratto, anche a tempo determinato, mediante il quale un lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione lavorativa in modo discontinuo o intermittente secondo le esigenze individuate dai contratti collettivi, anche con riferimento alla possibilità di svolgere le prestazioni in periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese o dell’anno”. Utile per gestire picchi di lavoro, eventi come promozioni o fieri, ma anche flussi turistici, tale contratto ha molteplici applicazioni pratiche: personale del settore alberghiero e ristorazione, fattorini, guardiani, uscieri, portinai ecc.
Per quanto attiene all’argomento che qui interessa, ovvero il rapporto intercorrente tra il contratto di lavoro intermittente e la condizione di maternità, il legislatore consente che le lavoratrici a chiamata possano usufruire degli stessi benefici economici, già garantiti per le tradizionali lavoratrici subordinate in maternità. Ciò che preme distinguere sono, tuttavia, i casi in cui la maternità si ha nel corso del periodo di disponibilità alle chiamate, dai casi in cui la lavoratrice intermittente sta effettivamente lavorando. Insomma debbono ricorrere specifici requisiti affinché scatti la tutela anche in caso di gravidanza.
La tutela per le lavoratrici intermittenti in gravidanza: spetta un’indennità?
A questo punto, rispondiamo al quesito iniziale: quali tutele economiche sono previste per le lavoratrici intermittenti in gravidanza? In via generale, va rimarcato che, in caso di lavoro intermittente, la persona occupata ha gli stessi diritti e garanzie del lavoratore subordinato tradizionale. Lo dice la legge vigente, all’art. 17 comma 1 del citato Jobs Act: “Il lavoratore intermittente non deve ricevere, per i periodi lavorati e a parità di mansioni svolte, un trattamento economico e normativo complessivamente meno favorevole rispetto al lavoratore di pari livello“. Si tratta del cosiddetto principio di non discriminazione, ribadito anche al secondo comma dello stesso articolo: “Il trattamento economico, normativo e previdenziale del lavoratore intermittente è riproporzionato in ragione della prestazione lavorativa effettivamente eseguita, in particolare per quanto riguarda l’importo della retribuzione globale e delle singole componenti di essa, nonché delle ferie e dei trattamenti per malattia e infortunio, congedo di maternità e parentale“. Insomma, c’è garanzia ma in modo calibrato alla particolare natura, discontinua e a singhiozzo, del lavoro intermittente.
Svolte le doverose premesse di tipo normativo, possiamo capire se e quando ricorrono specifici benefici, in caso di gravidanza. Anzitutto, stante la natura di intermittenza della prestazione lavorativa, la legge ritiene che i periodi di disponibilità (prima dell’effettiva chiamata), siano periodi di non-lavoro e quindi non garantiti. Pertanto, per quanto attiene al periodo di congedo di maternità, l’indennità correlata è corrisposta per tutta la durata dell’evento, purché lo stesso abbia inizio durante la fase di concreto svolgimento dell’attività (e non quindi durante il periodo di attesa del lavoro), oppure entro 60 giorni dall’ultimo giorno lavorato.
Concludendo, è stata una comunicazione Inps a chiarire che, in relazione invece al congedo parentale, ovvero la maternità facoltativa o aspettativa, sono applicate le regole riguardanti il part-time verticale. Pertanto, soltanto le giornate di previsto svolgimento del lavoro sono indennizzate, e comunque non oltre la misura del 30% della retribuzione percepita in mancanza di astensione dal lavoro.
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