A Ischia un ragazzino di 16 anni è stato investito e ucciso da una donna che in precedenza aveva già ucciso un Carabiniere. Stessa cosa accade a un quindicenne a Isernia. Anche a Melzo. A Siracusa. A Sarcedo. L’anno scorso, a Roma, un diciassettenne è stato investito e ucciso mentre attraversava sulle strisce pedonali. A Cuneo due diciassettenni vengono presi in pieno; uno muore sul colpo, l’altro viene ricoverato in gravissime condizioni. A Quartu Sant’Elena, viene investito e ucciso un ragazzino di 13 anni. Sono morti intollerabili che, messe insieme, trasmettono quella verità relativa che permette di parlare di emergenze.
Eppure queste notizie non sono mai arrivate sui social o sui quotidiani nazionali. Fanno parte della cronaca nera locale.
Domandarsi cosa sarebbe successo al dramma di Gaia e Camilla se a investirle fosse stato un figlio di nessuno forse è specioso, anche se qualcosa che salta all’occhio c’è. Tenendo d’occhio giornali e social, colpisce l’accanimento sul bersaglio preferito. C’è chi inveisce contro le ragazzine – grande passione dei giornalisti – chi insulta e augura disgrazie al guidatore e alla sua famiglia – grande passione dei lettori – chi tuona contro la mancanza di valori e di educazione delle nuove generazioni – grande passione degli editorialisti ultrasettantenni.
Ma cos’ha di diverso questa storia da quelle sopra?
Il sesso delle vittime? La famiglia dell’investitore? La città, il quartiere? Il contesto politico? Nella Storia ci sono innumerevoli esempi di linciaggi di innocenti sull’ondata emotiva, e siccome le generazioni cambiano pare sempre una novità assistere ai meccanismi ancestrali della folla.
Ma è una settimana che la tragedia di Ponte Milvio tiene banco sui media e nei social; c’è la caccia ai testimoni, al colpo di scena, alle dignitose – quindi deludenti, giornalisticamente – dichiarazioni delle famiglie, a cos’avevano bevuto, dov’erano andati, con chi. Solo nominare Gaia e Camilla scatena uragani di litigate. Tutti hanno già un’opinione netta, un giudizio assoluto, una condanna auspicata.
Perché?
Forse perché tutti abbiamo guidato con una birra di troppo, o abbiamo attraversato col rosso, o perché tanti hanno figli adolescenti che escono la sera. Forse questa storia colpisce così tanto l’opinione pubblica perché i grandi drammi sono quelli in cui entrambe le parti hanno ragione e torto insieme, e scegliamo chi condannare in base a chi interpreta il nostro peccato. Condannando chi compie i nostri errori, abbiamo la sensazione di assolverli e assolverci.