A 36 anni Paolo era stanco dello sguardo schifato dei suoi genitori e aveva deciso di affrontare la verità: il piano di sorbire quattro negroni chiacchierando con gli amici in attesa della grande idea non funzionava. Sì, al secondo giro nascevano discrete perle, al terzo si affrontavano i problemi tecnici e al quarto si rievocavano vecchi bagordi e compiante puttane, ma i soldi non arrivavano. Continuava a dividere il tetto col padre, ex caporeparto invalido al 100% grazie a un cugino cassazionista e la madre, un’imboscata statale sempre impegnata a organizzare scioperi di scarso successo.
Dal giorno del diploma in ragioneria, Paolo non aveva mai smesso con le sue amate riunegroni. Le aveva anzi affinate introducendo le cosiddette droghe da passeggio, e smascellava felice nelle discoteche tra balli e coltellate. Nei momenti di pausa faceva scenate di gelosia a Miriam, una camgirl 38enne drammadipendente svezzata da Maria De Filippi e dunque incapace di scindere l’amore dalla voglia di scopare. Erano urla, scenate, ceffoni e pianti a casa di lei, ma anche grandiosi coiti sul copripiumino London – autobus rosso e sfondo grigio – seguiti dalle amate riunegroni.
Poi era cambiato tutto.
L’anno scorso Miriam era rimasta incinta e tentato di convincere Paolo che il putto fosse suo. In realtà era del suo ex, un truce riparatore di caldaie con qualche piccolo precedente per ricettazione; il colpo di scena era migliorato quando Paolo aveva scoperto che Miriam aveva già un altro figlio di cinque anni, Jack, avuto dal vicino e padrone di casa che si faceva pagare l’affitto in natura. Aveva tenuto il bambino perché il padrone di casa era sposato, e quel piccolo frugoletto significava zero affitto, zero bollette e una bella assicurazione. Scoperto l’orrore, Paolo aveva capito di essere seduto dentro un frullatore e si era defilato appena prima della carneficina.
La scaltra moglie del vicino – una guardia giurata – aveva compreso l’ovvio origliando Miriam mentre litigava al telefono con Paolo nel cuore della notte. Aveva quindi preso la pistola e aveva bussato fingendo di chiedere aiuto, poi aveva giustiziato Miriam e avrebbe replicato col figlio illegittimo, se solo il piccino non fosse già addestrato alle urla domestiche. Jack sapeva che oltre una certa soglia di rumori domestici era meglio dormire nascosti nell’armadio a muro, e i due spari l’avevano svegliato.
La moglie impazzita aveva impiegato minuti preziosi a trovarlo ed era stata immobilizzata dal marito proprio quando l’aveva trovato. La scena di una pazza coperta di sangue che agita una rivoltella gridando “dove sei, piccola bestia” aiuterà Jack a crescere privo di stereotipi di genere, ma questa è un’altra storia.
Paolo doveva riprogettare tutta la sua vita, ma per farlo era necessario superare il lutto e la malinconia. Per aiutarsi aveva scelto gli psicofarmaci, ma gli amici gli avevano posto una domanda legittima: perché arricchire i big pharma, quando puoi donare il 990×1000 alle vittime dei droni americani? Paolo aveva quindi indossato la fascia della potenza e si era quindi tuffato nelle braccia dell’eroina, ed era felice.
Lo si vedeva girare per la stazione Venezia Mestre, binario 4, mentre rideva come un pazzo e voleva abbracciare tutti perché aveva superato il lutto, gli era andata bene e gli servivano solo 50 centesimi per un panino.
Una dose dopo l’altra, esauriti gli amici disposti a fargli prestiti, il Grande Piano di Paolo per rendere fieri i suoi genitori prende forma. Lo prepara con cura, lima i dettagli: non ci sono più i negroni ad annebbiargli la mente, né donne che lo distraggono. È lucido e affilato come un rasoio. Alle 10 di mattina Paolo raccoglie un piccione morto falciato da qualche interregionale, lo avvolge nelle pagine di una Gazzetta dello sport. Telefona a un mio amico – fornitore occasionale di sostanze ricreative – e gli dice queste esatte parole: le scarpe sono bottiglie che c’impediscono di volare. Riattacca, poi impugnando il prezioso volatile ripete la stessa frase a un capotreno, esce dalla stazione tenendo il fardello bene sopra la testa e scompare.
È una luna strana e rossastra, quella che sorge sul veneziano. Quella che venivano chiamata luna di sangue dagli indiani, o tramonto di porto Marghera dai mestrini.
Quella stessa notte, Paolo viene arrotato e ucciso da una macchina della polizia che correva a sirene spiegate per un bancomat esploso. Era sbucato fuori all’improvviso con il suo piccione. A almeno, questo è quello che vogliono far credere, a dire della madre. Vi furono grandi mobilitazioni da parte delle comunità che Paolo frequentava.
Qualche fiaccolata, stendardi, graffiti, promesse di non dimenticare.
Oggi il padre di Paolo viene spesso interpellato sulle sue congetture, soprattutto dopo che i poliziotti sono stati processati e assolti. La madre ha abbandonato gli scioperi e prosegue la sua crociata senza sosta né pace, finché la memoria di suo figlio non verrà riabilitata agli occhi dell’opinione pubblica veneta e i colpevoli, i mandanti e chi ha dovuto eliminarlo perché aveva visto qualcosa non salteranno fuori. Un altro mistero irrisolto, nella città della droga.