Il TP intervista Gianfranco Mascia

Pubblicato il 25 Novembre 2009 alle 16:56 Autore: Gianluca Borrelli
Caso Ruby

[ad]Lei è stato responsabile della comunicazione in diverse campagne politiche dei Verdi, di Sinistra l’arcobaleno, di Sinistra e Libertà e poi ancora nei Verdi. Queste esperienze non hanno avuto molto successo nelle ultime tornate elettorali e sia Verdi che SeL sono dilaniati da lotte interne. Quale crede che siano state le cause? Cosa non ha funzionato?

Una premessa: la comunicazione politica elettorale conta per consolidare alcuni frame già acquisiti. Ma come per qualsiasi altro prodotto pubblicizzato, in realtà la politica potrebbe offrire valoriche all’elettore non interessano o che non è pronto a recepire.

Così è capitato per la Sinistra l’arcobaleno. Una parte dell’elettorato, sulla spinta degli appelli al “voto utile”, ha ignorato completamente la campagna elettorale di questa coalizione perché ha deciso di orientare il proprio voto di dissenso al PD verso l’IdV,convinto che in tale maniera non avrebbe disperso voti. Un’altra parte dell’elettorato invece, sfiduciata per i litigi e la frammentazione della coalizione al governo con Prodi, è rimasta a casa, andando ad ingrossare le fila degli astensionisti. Probabilmente perché costoro non hanno trovato nella Sinistra l’arcobaleno niente di diverso di una “fusione a freddo”.

Diverso è il caso della campagna di SeL. Le aspettative erano forti, non c’era la questione del voto utile e SeL in parte rispondeva al bisogno di rinnovamento ed aveva intercettato i valori comuni del suo elettorato. Ma c’erano pochissimi soldi per la campagna elettorale (un decimo rispetto a Sinistra l’arcobaleno), bisognava far conoscere un nuovo simbolo e– in parte – anche SeL veniva percepita più come un’alleanza elettorale che come un vero e proprio partito.

Quanto alle lotte interne, questo atteggiamento “tafazziano” è tipico della storia della sinistra: più piccoli si è, più ci si separa cercando di rimarcare il proprio territorio. Mentre l’elettorato si aspetterebbe dai partiti la maturità necessaria per poter condividere un programma elettorale fatto di pochi punti condivisi.

Ritiene che la classe politica attuale sia scelta con criteri meritocratici? E se no quali pensa siano i criteri?
La politica italiana riflette il problema di fondo che permea tutte le organizzazioni italiane: è una società chiusa e non aperta. Una società bloccatadove vige il sistema delle cooptazioni, dei ruoli passati di padre in figlio, degli incarichi stabiliti per spartizione di area piuttosto che per capacità e competenze. A volte io stesso ho avuto a che fare con personaggi che non conoscevano niente della comunicazione politica, di quella sul web, anzi non avevano mai avuto a che fare con la comunicazione in generale. Erano seduti al mio stesso tavolo solo in rappresentanza di un’area o di una corrente.

La meritocrazia è un termine troppo spesso dimenticato o addirittura osteggiato dalla politica, soprattutto di sinistra.

I partiti dovrebbero aprirsi alle nuove generazioni. Del resto proprio organizzando il No Berlusconi Day ho incontrato ragazzi e ragazze attorno ai 30 anni concompetenza e professionalità da fare impallidire qualunque esperto dirigente di partito.

(per continuare la lettura cliccare su “7”)

Per commentare su questo argomento clicca qui!

L'autore: Gianluca Borrelli

Salernitano, ingegnere delle telecomunicazioni, da sempre appassionato di politica. Ha vissuto e lavorato per anni all'estero tra Irlanda e Inghilterra. Fondatore ed editore del «Termometro Politico».
Tutti gli articoli di Gianluca Borrelli →