Per quella vecchia casacca

rutelli e la legge elettorale

Per quella vecchia casacca 

 

Pochi giorni dopo l’elezione di Pierluigi Bersani a segretario del PD, Francesco Rutelli lasciava il partito per fondare l’Alleanza per l’Italia, di cui sapremo tutto a breve.

Una rassegna di dichiarazioni ci portano ad analizzare la nuova avventura politica di Francesco Rutelli.

 

 

 

[ad]Enzo Carra lo rimproverava a questo modo:

Non ho niente a che fare con episodi frettolosi come quelli di Rutelli. In un partito ci si sta lealmente finché ci sono le condizioni per starci e anche un po’ dopo perché bisogna credere in sé stessi e nelle idee per cui si combatte […] Pensare di fare una fuga con preavviso mi pare scorretto e anche incomprensibile dal punto di vista politico.

All’agenzia Adnkronos, qualche giorno dopo, dichiarava, rincarando la dose:

Molte ragioni che espone Rutelli sono condivisibili. Non mi convincono, però, le conclusioni alle quali arriva. Non dimentico, infatti, che contro di me volle imboccare frettolosamente la strada del PD. Adesso probabilmente Rutelli dà ragione alle perplessità che avevo esposto allora, ma con la stessa fretta che lo ha portato nel Partito democratico oggi ne esce.

In sostanza, la posizione dell’ex Margherita è: non togliere il disturbo fino a che non si capisce cosa abbia in mente Bersani.

Passa poco più di un mese, e sul suo blog Carra si chiede: “il PD è il nostro partito?”. E si risponde: “la buona volontà è stata fraintesa come acquiescenza ad una linea sempre più chiaramente neo-laicista“.

Fino all’invito a leggere un pezzo di Maria Teresa Meli in cui si parla di addio dal PD:

Prima di andarmene vorrei che rispondessero alle tante domande che ho posto. Vorrei, per esempio, che mi si dicesse se la libertà di coscienza sul testamento biologico che tra un po’ arriva alla Camera ha dei limiti e dei paletti. Voglio anche sapere cosa pensiamo sulla giustizia. E su Di Pietro. La segreteria la pensa come il soviet che è diventato la presidenza del gruppo di Montecitorio? Io è da tempo che pongo queste domande e nessuno finora mi ha risposto: a un certo punto trarrò le conseguenze.

Cosa è successo dal 25 ottobre a oggi di tanto grave da causare l’allontanamento, oltre a Rutelli, di Cacciari, Calearo, Vernetti, Dorina Bianchi e (pare) Lusetti e Paola Binetti?

Rimaniamo alle questione messe sul tavolo da Carra.

Su testamento biologico e libertà di coscienza, Bersani si è limitato a ripetere quanto detto nel confronto finale tra i tre candidati alle primarie: “non è possibile che il 50% degli italiani decida come deve morire l’altro 50%”. E ancora: “come devo morire non lo può decidere né Quagliarello né Gasparri”. Più precisamente, vale il vincolo di maggioranza salvo deroghe che devono essere stabilite da un organo statutario. Una posizione magari non coraggiosa, ma piuttosto ferma.

Meno limpida la posizione di Paola Binetti, invece. Che prima vota il tanto criticato (dai suoi colleghi di partito) ddl Calabrò, e poi ritratta, ma solo perché “il relatore non è stato corretto”. Niente a che vedere con il rispetto del vincolo di maggioranza, dunque. Strano che poi a chiedere chiarezza siano proprio i suoi compagni di corrente. Senza contare che, su questo tema, le parole di Franceschini (il candidato di Carra) erano proprio le stesse.

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[ad]E sulla giustizia? Anche qui la proposta di Bersani non è quel che si dice un manifesto di concretezza, ma senonaltro mantiene una linea piuttosto coerente: sì a una riforma condivisa solo a condizione che non si parli affatto di “processo breve”. Una tesi affermata il 16 novembre, e ribadita il 24 novembre e il 6 dicembre. Certo, non è una proposta, ma se questo bastasse per giustificare l’uscita da un partito dovremmo vedere i parlamentari cambiare casacca più velocemente di Bobo Vieri.

Non resta che il rapporto con Di Pietro, la cui problematicità è emersa in maniera lampante in occasione del No Berlusconi Day, verso cui Bersani non è stato in grado di formulare indicazioni precise. In sostanza, il segretario è riuscito nell’immane compito di scontentare tutti: i partecipanti del PD (il presidente Bindi, ma anche il vicepresidente Scalfarotto, gli ex sfidanti Dario Franceschini e Ignazio Marino, fino a giovani influenti come Civati e Serracchiani); gli altri partecipanti; e, evidentemente, l’ala moderata del partito.

Su questo bisogna dare ragione a Carra: non c’è stata (e non c’è) alcuna chiarezza nel rapporto del PD con l’Italia dei Valori. Tuttavia, è difficile comprendere come da questa (corretta) constatazione si possa saltare alla conclusione che il PD sia diventato un partito “neo-laicista“, da abbandonare.

Forse, più delle colpe di Bersani, può la fascinazione del “grande centro”. In cui, lo ricordo, Carra troverà tutta la chiarezza di Rutelli e (si auspicano i centristi) la devozione di Fini, che sul tema della laicità dello Stato parla la lingua del segretario del PD.

Potere dell’antipatia (ex) democristiana verso Di Pietro: tutto, pur di non giocare nella stessa squadra. Anche indossare i colori sociali di una vecchia gloria di cui (forse) non si sentiva il bisogno.